Magazine Diario personale

Senza tu

Da Silvia
Senza tu Fuori c'è un autunno ventoso, appena arrivato, vedo gli alberi muoversi, sento il loro fruscio, bevo un tè caldo, ed ancora intravedo il segno del costume sul mio collo, ultimi strascichi di un'abbronzatura estiva, già lontana. I giorni, frenetici e pronti per essere dimenticati insieme ad un altro milione di altri giorni di lavoro e corse e cene e scuola e merende e panni da stendere, a volte si bloccano, si impuntano, inciampano e non puoi più dimenticarli. La lente che guarda quei giorni diventa larga, attenta, precisa, quasi paranoica nella ricerca di un particolare, di una modificazione, di uno spostamento. Arriva un giorno che sembra uguale agli altri fino al momento in cui non ti dicono "il tuo amico ha avuto un incidente", ed allora ti fermi e vai da un'altra parte, non la solita parte, vai incontro a lui, sperando di trovare qualcosa di buono, qualcosa che ti faccia pensare che possa svegliarsi e tornare a parlare con la stessa voce di prima, con la stessa espressione di un tempo, con i medesimi gesti che conosci da una vita. Corri dalla sua famiglia, aspetti sui gradini, il tempo non passa mai, soppesi gli sguardi, fissi le scarpe, annusi il tunnel della terapia intensiva, ti stringi dentro di te, per nasconderti da quel dolore intollerabile, dalla paura atavica,dallo sguardo perso dei suoi cari, dai loro colli piegati in avanti, respiri e poi l'odore del disinfettante ti strozza. Cammini nei corridoi, guardi fissa il medico che spiega cosa sta succedendo al vostro amico, cosa non gli sta succedendo, sbirci la sua espressione, direzioni lo sguardo dove lo direziona lui, stringi un maglioncino di filo in mano e poi, preghi in quella tua maniera anomala, ridi anche un pò con gli altri per assurdo, poi esci chiedendoti, come quando sei entrata, se ne vale davvero la pena. Poi esci e c'è il sole e tutto è identico, ti chiedi come sia possibile che tutto sia identico, ma poi capisci che questo essere identico, immutato, riconoscibile e familiare è l'unica cosa che possa permettere a chi aspetta, di sopravvivere mentre attende un ritorno. Mio figlio di tre anni, una volta tornata a casa mi ha detto:"mamma, mi fai compagnia in cameretta mentre gioco?" "No amore sto cucinando, gioca tranquillo io sono qui vicino" "no mamma, ho paura fammi compagnia ti prego" "ma di cosa hai paura tesoro?questa è la tua cameretta, la nostra casa, di cosa hai paura?" "ho paura di senza tu". Ecco Tommi, svegliati presto perchè ho paura senza tu.

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