Per una coppia "normale", separarsi non è mai semplice e non solo per i traumi affettivi che ne derivano, ma soprattutto per le conseguenze economiche che si vengono a determinare. Infatti se con due stipendi, che a malapena ne fanno uno decente insieme, si riesce in qualche modo a tirare a campare, quando una coppia decide di separarsi le spese raddoppiano: alimenti, casa, figli. Se poi la coppia fa affidamento solo su un reddito allora "separazione" fa rima con "disperazione"! Così capita che il 66,1% dei separati si rivolgono alla Caritas perchè non riescono a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Lo evidenzia il nuovo Rapporto Caritas 2014 'False partenze' su povertà ed esclusione sociale in Italia, che apre una finestra sul fenomeno della povertà in Italia secondo l'esperienza di ascolto, osservazione e animazione svolta dalle 220 Caritas diocesane presenti sul territorio nazionale. Prima della separazione la percentuale di coloro che si rivolgevano alla Caritas riguardava solo il 23,7% degli intervistati. Dopo la separazione, segnala ancora il Rapporto Caritas, aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49,3%), mense (28,8%) e gli empori/magazzini solidali (12,9%). Sempre dopo la separazione si evidenzia un aumento dei disturbi psicosomatici: il 66,7% degli intervistati accusa infatti un numero più alto di sintomi rispetto al pre-separazione. Nel Rapporto è pubblicata una sintesi dei principali risultati della prima indagine nazionale sulla condizione di vita dei genitori separati, finalizzata a far emergere soprattutto il legame tra rottura del rapporto coniugale ed alcune forme di povertà o disagio socio-relazionale. La rilevazione ha coinvolto la rete Caritas e quella dei Consultori familiari d'ispirazione cristiana. Sono state realizzate 466 interviste a genitori separati, presso centri di ascolto (36,9%), consultori familiari (33,5%), servizi di accoglienza (18,5%) e mense (8,2%). Dai dati si evidenzia un forte disagio occupazionale degli intervistati: il 46,1% è infatti in cerca di un'occupazione. Dopo la separazione, inoltre, diminuisce notevolmente la percentuale di coloro che vivono in abitazioni di proprietà o in affitto. Al contrario aumentano vistosamente le situazioni di precarietà abitativa: cresce il numero di persone che vivono in coabitazione con familiari ed amici (dal 4,8% al 19,0%), che ricorrono a strutture di accoglienza o dormitori (dall'1,5% al 18,3%), o vivono in alloggi impropri (dallo 0,7% all'5,2%). Le motivazioni che hanno spinto gli utenti a chiedere aiuto sono legate a bisogni di tipo materiale e immateriale: le difficoltà economiche (21,7%), il disagio abitativo (15,0%), l'impossibilità di accedere ai beni di prima necessità (cibo e vestiario) (12,1%); il bisogno di ascolto (13,1%) e l'assistenza psicologica (12,3%). Ma in quale fase del processo di separazione sono stati intercettati? Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio. Dei procedimenti di divorzio quasi la totalità risulta ormai anche conclusa. Considerando i tempi di separazione, il 34,0% vive uno di questi stati da meno di un anno, il 20,0% da meno di due anni, il 20,2% da un tempo che va dai due ai cinque anni, il 25,8% da oltre 5 anni. Ma tra le principali difficoltà intercettate si registra un alto disagio occupazionale. Gli occupati rappresentano meno di un terzo degli intervistati mentre coloro che sono in cerca di un'occupazione (disoccupati e inoccupati) sono quasi la metà (46,1%). La grave situazione sul fronte dell'occupazione è l'elemento che maggiormente condiziona il post separazione. Esiste un ampio filone della letteratura sociologica che approfondisce il tema delle conseguenze economiche della rottura e quella che potrebbe definirsi una costante è che gli impatti maggiormente negativi (in termini economici) si riscontrano in coloro che risultano più fragili a livello occupazionale. Fino ad oggi, evidenzia il rapporto Caritas, “a ricoprire tale situazioni di svantaggio sono state in primo luogo le donne collocate in posizioni occupazionali subalterne, a volte anche per scelta personale per quella che potremmo definire la divisione del lavoro all'interno del matrimonio”. Rispetto alle interviste realizzate non emerge un particolare svantaggio delle donne; i livelli di disoccupazione, infatti, risultano alti sia per i maschi (45,1%) che per le femmine (41,4%). E a perorare le giuste cause delle coppie separate ci sarà un nuovo simbolo sulla scheda elettorale alle prossime elezioni politiche. Un nuovo partito che porterà in parlamento le ragioni delle coppie separate. I genitori separati scendono in campo con il "Movimento Italiano Separati", che sarà presentato ufficialmente, insieme all'organigramma e al programma, il prossimo 4 aprile a Roma. Il movimento accomuna le diverse esperienze vissute in prima persona o indirettamente, di un matrimonio fallito. L'obiettivo del movimento è quello di difendere la famiglia ancora prima che questa arrivi a sgretolarsi.
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Per una coppia "normale", separarsi non è mai semplice e non solo per i traumi affettivi che ne derivano, ma soprattutto per le conseguenze economiche che si vengono a determinare. Infatti se con due stipendi, che a malapena ne fanno uno decente insieme, si riesce in qualche modo a tirare a campare, quando una coppia decide di separarsi le spese raddoppiano: alimenti, casa, figli. Se poi la coppia fa affidamento solo su un reddito allora "separazione" fa rima con "disperazione"! Così capita che il 66,1% dei separati si rivolgono alla Caritas perchè non riescono a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Lo evidenzia il nuovo Rapporto Caritas 2014 'False partenze' su povertà ed esclusione sociale in Italia, che apre una finestra sul fenomeno della povertà in Italia secondo l'esperienza di ascolto, osservazione e animazione svolta dalle 220 Caritas diocesane presenti sul territorio nazionale. Prima della separazione la percentuale di coloro che si rivolgevano alla Caritas riguardava solo il 23,7% degli intervistati. Dopo la separazione, segnala ancora il Rapporto Caritas, aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49,3%), mense (28,8%) e gli empori/magazzini solidali (12,9%). Sempre dopo la separazione si evidenzia un aumento dei disturbi psicosomatici: il 66,7% degli intervistati accusa infatti un numero più alto di sintomi rispetto al pre-separazione. Nel Rapporto è pubblicata una sintesi dei principali risultati della prima indagine nazionale sulla condizione di vita dei genitori separati, finalizzata a far emergere soprattutto il legame tra rottura del rapporto coniugale ed alcune forme di povertà o disagio socio-relazionale. La rilevazione ha coinvolto la rete Caritas e quella dei Consultori familiari d'ispirazione cristiana. Sono state realizzate 466 interviste a genitori separati, presso centri di ascolto (36,9%), consultori familiari (33,5%), servizi di accoglienza (18,5%) e mense (8,2%). Dai dati si evidenzia un forte disagio occupazionale degli intervistati: il 46,1% è infatti in cerca di un'occupazione. Dopo la separazione, inoltre, diminuisce notevolmente la percentuale di coloro che vivono in abitazioni di proprietà o in affitto. Al contrario aumentano vistosamente le situazioni di precarietà abitativa: cresce il numero di persone che vivono in coabitazione con familiari ed amici (dal 4,8% al 19,0%), che ricorrono a strutture di accoglienza o dormitori (dall'1,5% al 18,3%), o vivono in alloggi impropri (dallo 0,7% all'5,2%). Le motivazioni che hanno spinto gli utenti a chiedere aiuto sono legate a bisogni di tipo materiale e immateriale: le difficoltà economiche (21,7%), il disagio abitativo (15,0%), l'impossibilità di accedere ai beni di prima necessità (cibo e vestiario) (12,1%); il bisogno di ascolto (13,1%) e l'assistenza psicologica (12,3%). Ma in quale fase del processo di separazione sono stati intercettati? Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio. Dei procedimenti di divorzio quasi la totalità risulta ormai anche conclusa. Considerando i tempi di separazione, il 34,0% vive uno di questi stati da meno di un anno, il 20,0% da meno di due anni, il 20,2% da un tempo che va dai due ai cinque anni, il 25,8% da oltre 5 anni. Ma tra le principali difficoltà intercettate si registra un alto disagio occupazionale. Gli occupati rappresentano meno di un terzo degli intervistati mentre coloro che sono in cerca di un'occupazione (disoccupati e inoccupati) sono quasi la metà (46,1%). La grave situazione sul fronte dell'occupazione è l'elemento che maggiormente condiziona il post separazione. Esiste un ampio filone della letteratura sociologica che approfondisce il tema delle conseguenze economiche della rottura e quella che potrebbe definirsi una costante è che gli impatti maggiormente negativi (in termini economici) si riscontrano in coloro che risultano più fragili a livello occupazionale. Fino ad oggi, evidenzia il rapporto Caritas, “a ricoprire tale situazioni di svantaggio sono state in primo luogo le donne collocate in posizioni occupazionali subalterne, a volte anche per scelta personale per quella che potremmo definire la divisione del lavoro all'interno del matrimonio”. Rispetto alle interviste realizzate non emerge un particolare svantaggio delle donne; i livelli di disoccupazione, infatti, risultano alti sia per i maschi (45,1%) che per le femmine (41,4%). E a perorare le giuste cause delle coppie separate ci sarà un nuovo simbolo sulla scheda elettorale alle prossime elezioni politiche. Un nuovo partito che porterà in parlamento le ragioni delle coppie separate. I genitori separati scendono in campo con il "Movimento Italiano Separati", che sarà presentato ufficialmente, insieme all'organigramma e al programma, il prossimo 4 aprile a Roma. Il movimento accomuna le diverse esperienze vissute in prima persona o indirettamente, di un matrimonio fallito. L'obiettivo del movimento è quello di difendere la famiglia ancora prima che questa arrivi a sgretolarsi.
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