Qualche tempo fa pubblicai la notizia che Ozzy Osbourne, il leggendario cantante rock ex leader dei Black Sabbath, avrebbe avuto il proprio genoma sequenziato. Lo scopo, al confine tra abile azione di marketing e ricerca scientifica, era quello di scoprire quali geni prodigiosi potessero aver consentito a Ozzy di raggiungere la veneranda età di 61 anni dopo una vita di alcool e droghe. Lo scorso weekend, sul Sunday Times sono apparsi finalmente i risultati dell’analisi, i quali, pur essendo certamente interessanti, non danno nessuna risposta definitiva all’interrogativo di partenza.
Ozzy è un cantante rock, non uno scienziato, e quando gli è stato proposto di farsi sequenziare non ha nascosto le proprie perplessità. “L’unico genome di cui ho sentito parlare – avrebbe dichiarato – è la statua con la barba bianca e il cappello a punta che si mette in giardino. Per quanto riguarda i geni poi, conosco solo un Gene, ed è il bassista dei Kiss.” Ci è voluto un po’, ma alla fine il Padrino dell’Heavy Metal si è convinto e ha consegnato il proprio DNA alla scienza.
Il genoma di Ozzy è stato sequenziato dall’azienda americana Cofactor Genomics con un SOLiD 4 della Life Technologies, società che oltre ad aver finanziato in parte il progetto si è anche occupata dell’analisi preliminare dei dati. Una volta ottenute le sequenze grezze, queste sono state infatti caricate sui server della Penguin Computing, sui quali sono state quindi analizzate per essere mappate sul genoma umano di riferimento. A farlo è stato Matt Dyer della Life Technologies, che è riuscito a posizionare sul riferimento circa il 70% delle sequenze prodotte: un risultato discreto, considerando che il genoma di Ozzy era stato sequenziato con una copertura di 13X. Dopo 8-10 ore di calcolo in modalità cloud computing per il mappaggio, Dyer doveva ora identificare gli SNP e le piccole inserzioni e delezioni presenti nel codice. Una volta ottenute, queste informazioni sono state inviate alla Knome, l’azienda che ha terminato le analisi e stilato l’interpretazione finale.
Cosa si è scoperto quindi, dopo questa costosa corsa contro il tempo? E’ emerso che Ozzy Osbourne possiede delle varianti particolari nel gene TTN, legato alla sordità e al Parkinson, e nel gene CLTCL1, attivo nel cervello. Il DNA ha inoltre confermato la sua sensibilità alla caffeina e ha suggerito una possibile spiegazione per la sua elevata tolleranza all’alcool: la variante responsabile potrebbe essere quella trovata nel gene dell’alcool deidrogenasi ADH4. Infine, il cantante porta nel suo codice genetico due varianti alleliche del gene COMT: la prima dovrebbe conferire capacità organizzative, pianificazione e capacità di autoregolarsi (è chiamata la variante “guerriera”); la seconda, invece, è associata a caratteristiche opposte (variante “ansiosa”). Come lo stesso Ozzy ha ammesso, queste due componenti sono entrambe presenti nella personalità della rock star e se la variante guerriera è quella che l’ha reso famoso, forse quella ansiosa lo ha tenuto in vita.
Piccola curiosità, Ozzy ha nel cromosoma 10 un paio di segmenti che arrivano dritti dritti dall’uomo di Neanderthal: da quando su Science è apparsa l’ipotesi che Sapiens e Neanderthal potrebbero essersi accopiati nel lontano Pleistocene, tutte le successive analisi di genomi hanno contemplato anche la ricerca di questa particolare eredità. Non preoccupatevi comunque: Ozzy Osbourne è un Homo sapiens a tutti gli effetti, e a giudicare dal suo genoma il genetista George Church è tre volte più Neanderthal di lui.
Non sappiamo ancora come Ozzy Osbourne sia riuscito ad arrivare alla sua età dopo una vita così sregolata, ma sicuramente questa iniziativa ha permesso alle aziende coinvolte (e alla genomica in genere) di farsi un po’ di pubblicità anche presso il grande pubblico. Molte varianti nel genoma di Ozzy erano già note, ma altrettante sono quelle mai viste prima d’ora dagli scienziati: il problema, però, è che non è possibile trarre delle conclusioni partendo da un singolo genoma. La ricerca di associazioni tra DNA e tratti fenotipici esige gruppi numerosissimi di persone, il cui codice genetico viene studiato e correlato con il loro aspetto fisico o le loro malattie.
Insomma, la scienza non ha imparato nulla dal genoma di Ozzy Osbourne, si possono soltanto fare supposizioni e ipotesi che devono essere validate con grandi popolazioni. Tuttavia, nella settimana in cui Nature pubblica i primi risultati del Progetto 1000 Genomi (questo sì che ha valenza scientifica), è il DNA del cantante britannico a interessare maggiormente la gente comune, e far avvicinare le persone alla genetica è anch’esso – secondo me – uno scopo nobile: quando il sequenziamento dei genomi entrerà nella nostra vita di tutti i giorni, è bene che tutti sappiano che cosa significa.
Fonti: Sunday Times, Bio-It World, Scientific American, Cofactor Genomics