Il termine serendipità ci cala subito in un quadretto esotico e misterioso. Non so voi ma almeno a me vengono in mente baffuti soggetti dalla pelle scura che fumano oppio su un morbido tappeto. Ed in effetti questa parola magica ha davvero un’origine fantastica: nasce nel grembo di un’affascinante favola persiana che racconta il viaggio dei tre prìncipi di Serendippo, antico nome di quello che oggi è lo Sri Lanka. Durante la loro avventura le tre altezze reali continuano ad imbattersi in scoperte casuali di cose di cui non erano minimamente alla ricerca.
Intorno al Settecento il termine inizia a descrivere quel fenomeno per cui, soprattutto in campo scientifico, un ricercatore scopre casualmente qualcosa mentre sta lavorando su altro. Per intenderci, la serendipità è un po’ la sorella dotata ma pigra della diligente ma poco brillante indagine sistematica.
Galileo ci ha insegnato che la ricerca scientifica è rigorosa, tenace, strutturata. Si parte con l’osservazione della realtà e l’individuazione di una problematica. A livello teorico si formula un’ipotesi per spiegare tale problematica e comincia poi una sequela infinita di esperimenti al fine di validare con buona probabilità la nostra ipotesi e formulare una teoria, ovvero annunciare che certi fenomeni si ripetono in modo prevedibile. Questa ricerca così diligente e precisa non è mai quindi una vera e propria scoperta: il ricercatore sa già quello che sta cercando e si accontenta di trovare nella realtà una conferma a ciò che già prevede esista.
L’aspetto esaltante della serendipità è invece questo suo reale carattere di scoperta. Lo scienziato che può affermare di aver validato la sua ipotesi tramite ricerca sperimentale, potrà al più mettere su una spocchia da ve-l’avevo-detto-io-che-se-non-ci-sono-forze-esterne-un-corpo-permane-in-moto-rettilineo-uniforme, mentre solo chi ha appena scoperto (realmente scoperto!) la radiazione cosmica di fondo mentre tentava di costruire un nuovo tipo di antenna per microonde può saltellare di gioia, esultare di contentezza e provare una felicità inaspettata e straripante.Un uomo che sembra essere stato graziato dalla serendipità è Alexander Fleming, medico e biologo scozzese. In una giornata probabilmente piovosa e fredda nel suo laboratorio londinese, Fleming è tormentato da un forte raffreddore. Potrebbe scegliere di tornarsene a casa, starsene un po’ sul divano a scatarrare e lamentarsi, ma è uno scienziato e quindi gli sembra più sensato prelevare un campione del proprio muco e controllare l’eventuale crescita di qualche colonia batterica. Quando il giorno dopo analizza la piastrina contenente le secrezioni, una sua lacrima cade sul muco.
La storia della scienza ufficiale è un po’ asettica a riguarda, parla solo di “lacrima caduta inavvertitamente”, ma per quanto ne sappiamo noi, possiamo sempre pensare che Fleming stesse soffrendo come un cane perché il grande amore della sua vita era scappato in Francia, e magari proprio per questo il giorno prima invece di tornarsene a casa era rimasto in laboratorio e si era consolato giocando al piccolo chimico col suo muco. Fatto sta che poco dopo sulla piastrina osserva un brulicare di batteri, a eccezione di una piccola zona tonda e trasparente rimasta immacolata là dove era caduta la lacrima.
Alexander Fleming (1881 – 1955) è stato un medico, biologo e farmacologo britannico, noto soprattutto per aver scoperto la penicillina.
Così Fleming scopre il lisozima, enzima contenuto anche nelle nostre lacrime e blando antibatterico. Il caso, però, sembra essersi affezionato al biologo delle highlands e torna in suo aiuto sei anni dopo, nel 1928, quando l’ormai titolare della cattedra di batteriologia se ne va qualche giorno in vacanza. Così come le persone normali devono ricordarsi di chiudere il gas e spegnere le luci, lo scienziato doveva ricordarsi di gettare alcune colture batteriche.
Fleming era però un tipo particolare, ormai lo abbiamo capito, piange sulle piastrine e quando sta male preleva campioni del suo catarro invece di prendersi un’aspirina. Quindi non può che dimenticarsi di fare pulizia e abbandona le piastrine vicino a un pezzo di ananas con cui probabilmente aveva fatto merenda.
Al suo ritorno in laboratorio riprende in mano le colture dimenticate per gettarle, ma nota qualcosa di particolare: una muffa proveniente dall’ananas andato a male (la penicillinum chrisogenum) aveva contaminato una coltura e ucciso i batteri.
Fleming stesso riconoscerà il merito del caso nelle sue scoperte, affermando addirittura che “Ci sono migliaia di muffe differenti e ci sono migliaia di batteri differenti, e che la sorte abbia messo la muffa giusta nel punto giusto è stato come vincere alla Irish Sweep” ( la lotteria irlandese abbinata alle corse dei cavalli). Il valore di Fleming però fu quello di saper riconoscere l’importanza di un’osservazione fortuita e di intuire il grande potenziale di quella che sarebbe stata la moderna terapia antibiotica.
Meno rivoluzionario, ma sicuramente più divertente fu invece quello che avvenne in un altro laboratorio, in una serata di metà aprile del 1948. Il chimico svizzero Alfred Hofmann sta lavorando all’acido lisergico per una industria farmaceutica e arriva a sintetizzare il dietilamidetartrato-25, oggi noto ai più come LSD. Inavvertitamente una goccia di quella sostanza cade sulla sua mano. Possiamo solo immaginare il suo ritorno a casa in bicicletta, l’ebrezza di uomo che sperimenta nuovi stati mentali mescolata alla gioia di chimico che scopre le potenzialità portentose di una sostanza.I casi di scoperte casuali sono talmente tanti che un articolo non basta per raccontarli tutti, ci basti sapere che la serendipità ci ha consegnato il cellophane, il Prozac, la colla dei post-it, la dinamite e le patatine fritte. Ma anche il pianeta Urano, il velcro, i raggi X, i neuroni specchio, il viagra e l’America.
Per quanto la strada principe della ricerca scientifica è senza dubbio quella che ci ha consegnato Galileo qualche secolo fa, la serendipità ci insegna a fidarci dei sentieri non tracciati. A mantenersi vigili verso i fenomeni più o meno casuali che continuamente avvengono attorno a noi. Perché si può crescere seguendo un percorso caotico, alternativo a quello prestabilito e perché in questo modo, nella scienza così come nella vita, potremmo scoprire qualcosa di veramente importante quando meno ce l’aspettiamo.