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Serve davvero la trama?

Da Marcofre

Secondo Stephen King, un racconto o un romanzo sono composti da tre elementi:

Narrazione

Descrizione

Dialogo

Nient’altro.

Ho pensato parecchio a questo suo modo di considerare la narrativa. Da sottolineare che King non ha la pretesa di avere la verità in tasca. È consapevole che una tale idea possa suonare stramba, incredibile a quanti leggono o ascoltano le sue interviste. Secondo lui la trama (ecco quello che manca nell’elenco degli ingredienti che formano un racconto o un romanzo), non aiuta a creare una storia genuina. Per riuscire a offrire al lettore dei personaggi schietti, bisogna lasciare che la storia si scriva da sé.

L’affermazione di King non è poi molto bislacca. In fondo, dice lo scrittore statunitense, le nostre vite hanno una trama? Qualcosa di pianificato? No. Le cose accadono. A dispetto di ogni programmazione o ottimizzazione esiste sempre l’imprevisto (un meteorite per esempio: quello che ha estinto i dinosauri), che scardina l’ordine delle cose. Perché allora dare loro un ordine?
Si tratta di un problema che non ho mai affrontato.

A un certo punto esiste un’immagine, e provo a seguirla. Non è detto che conduca da qualche parte e nemmeno ho la più pallida idea di quale sarà lo sviluppo successivo (cosa accadrà nella pagina seguente), e nemmeno il tipo di sorte che toccherà ai personaggi nel finale.
Zero. Il vuoto.

Ed è una buona cosa perché quel vuoto vuol dire: “possibilità infinite”. Non è affatto una situazione deprimente (“Aiuto! E adesso che faccio?”) ma al contrario esaltante. Se non ci si è installati su un piedistallo, sarà forse una buona storia perché saremo nella migliore condizione per ricevere qualunque stimolo.
Ma vale sempre? Vale per i racconti e i romanzi? O solo per i primi? Un sacco di quesiti come si vede.

Di certo a me (e anche per Stephen King), pare una forzatura inaccettabile sedermi davanti al Mac e dire: “Bene, adesso butto giù una trama”.
C’è in questo atteggiamento qualcosa di forzato che mi mette di cattivo umore. Sa di costruito, pianificato, obbligato. Significa non lasciarsi andare ai personaggi, al flusso della storia, ma suggerire loro (o imporre), un proprio punto di vista.

Non pretendo di avere la soluzione o la risposta migliore a questo genere di problema. Però esiste; e secondo me è un errore partire con una trama in testa.
Se siamo carne e sangue, e dietro tutte le apparenze c’è un mistero, una bizzarra anomalia che interviene, il fato, Dio, mettersi a costruire una storia quasi fosse un’abitazione mi pare persino pericoloso.

Vuol dire escludersi da una interessante gamma di possibilità. Non è detto che si riesca a coglierle o a sfruttarle sino in fondo. Esistono i limiti dello scrittore per esempio, che a volte agiscono quasi magicamente perché nonostante questi (o grazie a essi?) riesce a ottenere risultati insperati.
Lo scriveva anche Flannery O’ Connor.

La pratica della scrittura aiuta, migliora l’autore, ma non elimina i limiti che la sua cultura, l’educazione, l’ambiente, persino certi pregiudizi, hanno generato. Immagino che il talento riesca ad agire nonostante lacci e laccioli, ma questi resteranno sempre ben saldi.

La conclusione? Non credo che ce ne sia davvero una. Nella scrittura i problemi, le sfide, sono simili, ma le soluzioni in realtà non si possono esportare perché ciascuno si deve arrangiare. Non è semplice, e ci sarebbe da scrivere un bel po’ sulla fatica che impone la scrittura. Però non ci sono ricette da consigliare, o soluzioni pronte all’uso.


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