Magazine Lavoro
Ecco i sindacati che ritrovano l’unità, attorno alla manovra «Salva Italia», anche se con posizioni diverse e con polemiche non trattenute. C’è una mobilitazione promossa sia dalla Cgil, sia da Cisl e Uil, in modi distinti, ma con finalità che appaiono non coincidenti.
La Cgil fa leva sui risultati parziali ottenuti (su Irpef, indicizzazione delle pensioni, età di pensionamento delle donne) per poi auspicare un’azione unitaria onde ottenere modifiche su altri contenuti giudicati non equi. La Cisl e la Uil, invece, battono il chiodo soprattutto sulla mancata concertazione. Sembrano cercare un rapporto, un riconoscimento istituzionale più che organizzare una pressione sul Parlamento affinché provi a correggere alcuni aspetti della manovra.
È comprensibile il malumore di Bonanni per il rifiuto di Monti a concertare il welfare (le pensioni sono salario differito e quindi roba dei lavoratori e dei loro rappresentanti), ma quel che conta ora è portare a casa dei risultati. Che cosa insegna l’esperienza di questi ultimi anni se non l’obbligo dell’unità per contare davvero qualcosa senza essere imbrigliati in rapporti pasticciati e magari sottobanco con governi più o meno amici?
Pensate come avrebbe potuto incidere, di fronte al gaudio incosciente del centrodestra, uno sciopero generale unitario, promosso da Cgil, Cisl e Uil, all’inizio della crisi economica. Uno sciopero a sostegno di una piattaforma unitaria, alternativa alla stessa ricetta ora servita da Mario Monti. Oggi, per dirla con un amico ex sindacalista, «i buoi sono scappati» ed è difficile ribaltare il menù.
Sarebbe però auspicabile che i sindacati si presentassero insieme al Paese senza apparire come organizzazioni puramente corporative che non hanno a cuore le sorti dell’Italia e dell’Europa. Spiegando le ragioni del loro scontento e come tali ragioni non siano davvero incompatibili con la «salvezza» generale. Essa non riguarda soltanto le sorti dello «spread» ora in benefica picchiata, ma soprattutto la «crescita». Ovverosia il ritorno a produrre ricchezza attraverso innanzitutto il riconoscimento e non l’umiliazione del capitale umano, del lavoro.
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