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“Servo Suo” (1973) fu realizzato da Romano Scavolini appena un anno dopo quello che è considerato, tra i suoi film non “underground”, il più felicemente riuscito, ovvero il giallo-thriller psichedelico “Un Bianco vestito per Marialè” (1972). Che io ho sempre trovato bellissimo. Come dicevo, un anno dopo circa, Scavolini ha diretto questo stranissimo film d'impianto drammatico e romantico strappa lacrime, da mafia-movie, d'anticipazione pseudo-fantascientifica e distopica, di spionaggio, e il tutto nello stesso film. Basato su una sua sceneggiatura, racconta la storia di Martin (interpretato abbastanza bene da Chris Avram, attore di origine rumena molto attivo nel cinema romano degli anni settanta) , un professore inglese che vive a Palermo, guadagnandosi lì quanto gli basta per vivere. Sta infatti dando lezioni al figlio paralizzato di un boss della mafia siciliana, ed i membri del clan decidono che Martin sia un uomo ideale per essere trasformato in un killer di cosa nostra, si non scherzo. Motivazione: non ha parenti o amici veri, in quel di Palermo e della Sicilia. Così lo rapiscono e lo portano in un luogo segreto, dove a Martin gli viene presentata la sua iniziatica "formazione per diventare un killer". Poco dopo, egli conosce ogni arma ed è in grado di distinguere i tipi di proiettile solo dal loro suono sì non scherzo, quando vengono sparati. Comincia così a fare il suo lavoro, e dimostrando anche di essere davvero un buon killer. Ma la sua mente diventa sempre più tormentata dai dubbi sulla spietatezza del proprio nuovo “lavoro”.
Questo film metterebbe a nudo una buona idea di Scavolini: mentre la maggior parte dei killer professionisti degli anni Settanta sembrano essere degli archetipi di macho duro senza sentimenti alla Bronson tanto per intenderci, "Servo Suo" disegna l'immagine di un assassino tragico. Alle questioni personali di Martin è dato allo spettatore abbastanza spazio da poterle esplorare, ma purtroppo, tali questioni sono trattate in maniera spesso molto noiosa e melò, talmente che si può essere soddisfatti di non addormentarsi o, peggio ancora, perdere interesse. Questo sviluppo del film dal ritmo lento e verboso impedisce anche di immedesimarsi con la caratterizzazione come detto fondamentalmente tragica del killer. Un altro errore Scavolini lo compie mostrando i numerosi “contratti” di Martin eseguiti sparando dall'alto verso il basso alle sue vittime, ma senza mai i colpi d'impatto e il sangue che fuoriesce e scorre, per evidenti e forti limiti di budget: questo taglia anche drasticamente di mostrarci tutta la cattiveria e crudezza insita nel lavoro di Martin. Sarebbe stato importante mostrare il sangue, per mostrare come sia veramente il lavoro sporco di un killer a pagamento. Chi almeno alla fine si aspetti chissà che, purtroppo sarà deluso, perché dopo una trama portata avanti faticosamente il finale arriva veloce e risolto con troppa facilità, non restituendoci in realtà la necessaria resa dei conti finale. In definitiva quindi, il film può essere considerato una delusione, nonostante la trama fosse abbastanza promettente seppur portata avanti a base di pretesti, o almeno nelle sue premesse.
“Servo Suo” era anche un film molto raro, fino a che all'incirca nel 2000 i benemeriti della Shendene & Moizzi non l'avessero inserito nella collana di VHS del secondo ciclo di Sex & Violence, forse più che altro grazie alla presenza della supertopa Paola Senatore, la quale però non faceva certo ancora tutti i lavori e che lavori che avrebbe eseguito circa un lustro dopo, nei primi film della Golden Age dell'hard tricolore. Anche perché nel film stesso, di violenza ve n'è ben poca, per tacere di sesso esplicito, completamente assente.
Comunque, si arguisce anche qui che Scavolini è sempre stato in ogni suo lavoro un regista che ha sempre avuto ambizioni autoriali e di realizzare un cinema indubitalmente personale e pieno di passione, e questi intenti non sono stati mal riposti, ma anche ben centrati ad esempio in un'ambientazione siciliana volutamente squallida e povera, aderente con la solitudine del personaggio del professore inglese, il quale da una semplice trasferta “siciliana”con tutto il “naturalismo” che ne consegue, poi “internazionale” fino ad Amsterdam in Olanda, si ritrova sotto ricatto della mafia, e fino ad essere costretto a diventare un assassino sotto “contratto” alle loro dipendenze, perché di questo si tratta. E come si vede anche la differenza di Scavolini, rispetto a quasi tutti i suoi colleghi del periodo, nel girare sempre opere strambe, stranissime, discontinue e dal montaggio molto frammentario, qui in bilico sul noir, ma senza rinunciare a certi “vezzi” del cinema underground di ambientazione urbana e dei bassifondi, -dal quale Scavolini proveniva con successo-, come la trovata del nostro professore che ovunque vada viene seguito, spiato, da onnipresenti telecamere a circuito chiuso (ma da dove?) come in un “Grande Fratello”, e quella delle diapositive e degli altoparlanti che gli impartiscono continue lezioni sulle armi da fuoco e le munizioni. Il personaggio di Avram invece è, o nella sua improbabilità vorrebbe essere, (con tutto il rispetto per il troppo impegnativo modello), una sorta di professore loser, a là Daniele Dominici, ovvero il professore “reietto” interpretato da Alain Delon nel celebre “La Prima notte di quiete”('72) di Valerio Zurlini. Come il famoso modello, anche Avram va contro le regole, fregandosene o infrangendole, ma in questo caso sono le “leggi” della mafia, delle quali una delle principali detta appunto che “il cuore non comanda”. La splendida Senatore mi pare di ricordare, mostra come quasi sempre almeno il pelo, in una scena nella quale balla sexy. C'è anche in un personaggio abbastanza assurdo Jacques Stany, altro celebre caratterista del cinema italiano di genere del periodo, che non è male. Diciamo che anche qui, Scavolini confeziona un film a cui non importa tanto dello svolgimento della trama e della sua narrazione, ma di come tale viene esposta, tra continui vezzi ed esibizioni, ma anche trovate di un innegabile stile.
Napoleone Wilson
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