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Appartengo a una generazione che confidava nei santi, quelli importanti. Poi è arrivata la riforma del calendario ecclesiastico e c’è stata l’invasione dei santi sconosciuti, molti dei quali extracomunitari, ai quali non puoi chiedere granché, nemmeno le previsioni del tempo. A chi verrebbe in mente di pregare Sant’Antonino Fantosati, un francescano vissuto in Cina, di farci da barometro? “Scherza con i fanti ma lascia stare i santi”, dice un proverbio che non mi ha mai convinto. Perché non dovrei scherzarci? Loro, i santi, erano i primi a scherzare con la vita, a non prenderla troppo sul serio. Se l’avessero fatto, non sarebbero morti decapitati, come Cosma e Damiano, flagellati a morte come San Sebastiano o sul rogo come capitò a Giovanna d’Arco, che più che una santa era una visionaria sofferente di schizofrenia. Credo che attualmente siano poco meno di 10.000 i santi e i beati venerati dalla Chiesa cattolica, come indica il Martyrologium Romanum. Ogni mese se ne festeggiano all’incirca 400. Si potrebbe riempire uno stadio di provincia. D’altra parte, San Giovanni riferisce nell’Apocalisse la visione di “una moltitudine immensa” di santi e beati. Avanti, c’è ancora tanto posto. Due posti, tuttavia, non sono più disponibili. Proprio in questi giorni sono stati occupati da due papi molto popolari. Papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, e Papa Giovanni Paolo II, al secolo Karol Jozef Wojtyla, sono gloriosamente entrati nella schiera dei canonizzati e dei tanti dottori della chiesa, fondatori, martiri, vergini e missionari che dall’alto della loro posizione sembrano ammonirci più che confortarci. Aveva forse ragione Bernanos, che nel suo famoso Diario di un curato di campagna si lascio scappare un “Dio ci scampi anche dai santi!” In effetti, per quanto i santi siano da rispettare per quanto di buono e bello hanno fatto nella loro vita, non credo li si debba venerare. Erano uomini e donne come noi e il modo miglior modo per onorarli è imitarli, come diceva Erasmo da Rotterdam. Sic et simpliciter. Per questa ragione, la canonizzazione di due papi del XX secolo, avvenuta con un entusiasmo delle masse e mediatico che mi ha lasciato indifferente, non mi trova completamente d’accordo. Provo a spiegarvi perché.
Niente da dire sul “Papa buono”. La sua vita non presenta ombre. Ho, invece, qualcosa da eccepire su Wojtyla, il pontefice che sarà ricordato per quel “santo subito” che fa di lui un’icona più che un venerabile avente diritto. Non mi ha mai esaltato, anche se riconosco i suoi meriti e il suo grande appeal sulla folla dei fedeli. Nel suo caso, però, la Chiesa è stata quanto meno frettolosa. Occorreva lasciare decantare le cose per vederle con maggiore lucidità fra trenta o forse quarant’anni. La gente è troppo emotiva. Ha imposto alla Chiesa la santificazione di un uomo che qualche piccolo scheletro nell’armadio l’ha nascosto. Intanto, come la mettiamo con il fatto che ha soffocato lo scandalo della pedofilia nella Chiesa e ha coperto i colpevoli di abusi sessuali anziché fare piazza pulita? Secondo, ci siamo dimenticati che fu lui a dare un’autonomia giuridica in seno alla Chiesa all’Opus Dei, la congregazione occulta che molti definiscono “la piovra di Dio” per rimarcarne la struttura di stampo mafioso? Per inciso, nel 1992, il Papa polacco canonizzò il fondatore dell’Opus Dei, José Maria Escrivà de Balaguer, un uomo che fu amico e consigliere del dittatore spagnolo Franco. Si sa che Wojtyla è stato il più grande fabbricante di santi nella storia della Chiesa Cattolica. Durante il suo pontificato, dal 1882 al 2004, ne ha canonizzati 482, più di quanto siano riusciti a fare tutti i papi degli ultimi quattro secoli messi insieme. Uno zelo straordinario e, per molti aspetti, strano. La patente di santità gli era dovuta per il business che ha promosso. Ma lasciamo perdere, le ombre di San Karol Wojtyla sono altre. Agli inizi del suo pontificato ha sostenuto la strategia nucleare e ne ha difeso il principio. Disse letteralmente che “la bomba atomica permette di andare verso la pace”. Karol fu amico del boia Pinochet, autore di genocidi spaventosi, cui strinse la mano nel 1987, in Cile. In quell’occasione, le madri dei “desaparecidos” lo chiamarono “Giuda”. Nel 2000, ha avuto l’impudenza di santificare un suo predecessore, quel Pio IX, autore del famigerato Sillabo, che più volte si comportò da criminale e diffuse la propaganda antisemita. Wojtyla ha anche associato il suo nome allo scandalo dello IOR, l’Istituto per le Opere Religiose, di fatto una banca intorno alla quale ruotarono, con il placet del Vaticano, figure diaboliche come Marcinkus, Calvi e Sindona. Non è tutto. Nel 1992, Wojtyla si rifiutò di ricevere Rigoberta Menchù, la giovane guatemalteca premio Nobel per la pace. Nel 1994, la sua omertà fece sì che in Ruanda avvenisse un incredibile genocidio. Un milione di morti, in una guerra etnica di fronte alla quale il Papa rimase in silenzio. Mi fermo qui ma potrei andare avanti, chiedendomi, ad esempio, come fa un santo a escludere le donne dal sacerdozio, a scagliarsi contro la contraccezione e l’uso del profilattico, a non escludere la pena di morte (art. 2267 del Catechismo), a vivere nel lusso più sfrenato e a mangiare con posate d’oro, a ingannare l’opinione pubblica in virtù di una consumata abilità degna di un persuasore occulto? Ma i tempi sono cambiati e i santi si adeguano, sono showman. Chissà che un giorno le logiche del marketing non ci inducano a proclamare santa anche Madonna (la cantante) e Berlusconi non venga dichiarato “beato” a causa dell’accanimento della magistratura?
La verità è che siamo nel XXI secolo e forse bisognerebbe tenere conto di alcune verità. La prima è che i santi vecchi non fanno più miracoli. Potrebbe essere questa la ragione della fretta con cui la Chiesa promuove le “new entries”. E poi, ogni santo vuole la sua candela. Ben vengano, dunque, i santi moderni portatori di donazioni e indotto economico. San Pio da Pietralcina docet. Ma confesso che mi piaceva di più quando era l’umile Padre Pio e la chiesa lo osteggiava. Infine, riflettiamo su una frase di Balzac che ho trovato ne Il medico di campagna. Dice: “la malattia del nostro tempo è la superiorità. Ci sono più santi che nicchie”. Risale al 1833. Figuriamoci se Balzac vivesse nei giorni nostri! In definitiva, mi chiedo che senso abbia fare nuovi santi ma in fondo conosco la risposta. La Chiesa ha fame di denaro e visibilità. Non ho dubbi che i santi non servano più, se non a chi li produce e commercializza. Ai cristiani serve ben altro e speriamo che il papa attuale, il buon Francesco da Buenos Aires, lo capisca e non si faccia cogliere dalla frenesia di aggiungere nuove figurine all’album Panini del Vaticano. Non ci interessano. Preferiamo le buone azioni.
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