Questo pomeriggio, al Teatro Massimo di Cagliari, ho assistito allo spettacolo teatrale “Sette bambine ebree” di Caryl Churchill, per la regia di Rosalba Ziccheddu con cinque valide attrici sul palcoscenico ( Eleonora Giua, Maria Grazia Sughi, Marta Proietti Orzella, Noemi Medas Agnese Fois) e un altrettanto valido musicista (Alessandro Atzori).
La proposta drammaturgica si inquadra nel ricordo della giornata della memoria e viene proposta alle scuole proprio nelle date del 26 e del 27 gennaio, giornate che per legge sono deputate al ricordo della Shoah. Pur tuttavia la proposta culturale di Sardegna Teatro quest’anno appare più articolata e complessa e meno scontata degli altri anni.
La rappresentazione è stata infatti preceduta dalla proiezione di tre cortometraggi proposti dall’Associazione Culturale Skepto e dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina. Il cortometraggio di quest’ultima associazione, Nakba, getta una luce nuova e diversa sulle vicende dello Stato d’Israele, nato nel maggio del 1948, sulle ceneri del grande massacro che i nazisti perpetrarono in odio agli Ebrei nel decennio precedente.
Qui non si tratta di disconoscere o sminuire l’orrore di quel tragico eccidio. E nemmeno di cercarne un contrappeso nelle sofferenze che i Palestinesi hanno dovuto subire dal 1948 ad oggi, a causa dello strapotere israeliano nei territori assegnati ai Sionisti da una politica internazionale, a dir poco, miope e poco accorta.
Piuttosto la rappresentazione, così come si evidenzia anche dalle dichiarazioni esplicite della sua autrice, intende fare emergere, il terribile, doloroso conflitto, interno ed esterno, degli Ebrei senza terra, che si insediano in Palestina contro la volontà e comunque a discapito dei discendenti dei Cananei che in quelle terre abitano da millenni.
Il conflitto interno allo stesso popolo israeliano emerge sin dalle prime battute della rappresentazione: “Dille”, “Non dirle”; “Dille che è un gioco” , “Dille che è una cosa seria”.
Il conflitto esterno con i Palestinesi è perfino più marcato. Lo stesso titolo dell’opera vuole rappresentare le sette fasi dell’insediamento israeliano in Palestina: L’Olocausto, l’immigrazione ebrea in Palestina, La creazione dello Stato d’Israele, la lotta per l’espulsione degli Arabi Palestinesi dai territori, le guerre arabo-palestinesi, la disputa per l’utilizzo dell’acqua e le rivolte palestinesi chiamate Intifada.
Qualcuno, anche nella patria dell’autrice (nata a Londra nel 1938 e quindi britannica, cittadina del Paese considerato il massimo responsabile dell’attuale disastrosa situazione israelo-palestinese) ha accusato il dramma della Churchill di antisemitismo, ma non tutti la pensano così, persino tra gli stessi intellettuali ebrei.
Non sono d’accordo sull’antisemitismo del lavoro.
Il testo della Churchill è pregevole perchè suscita delle domande, pone delle questioni, fa emergere dei dubbi.
La diplomazia internazionale (e in primis quella britannica) che ha combinato il disastro, dovrebbe attivarsi per porvi rimedio.
Io non so come. Non è il mio mestiere e non faccio politica, ma sento nella mia coscienza che, come diceva quel mio vecchio professore, che due torti non fanno una ragione.
Che molti Palestinesi abbiano ricevuto dei torti a causa della vicenda israeliana non vi è alcun dubbio. E non serve a niente far finta di niente.