Magazine Diario personale

Sette ore a Linate.

Creato il 17 settembre 2014 da Denise D'Angelilli @dueditanelcuore

Voi siete tutti a lavoro, a studiare, a fare le cose che bisogna fare nella vita alle undici di mercoledì mattina, io sono in aeroporto da un’ora, ho il volo tra altre sei, ho comprato Vanity Fair e ho mangiato lo yogurt del Mc Donald’s che sa di acqua del Tevere e sto qua, seduta sul divanetto, conciata come una scappata di casa ma a Londra sarei tra le più normali, ed è lì che sto tornando.

Continuano a succedere cose strane tipo un numero di telefono che ti chiama e tu rispondi entusiasta pensando che sia la chiamata che stai aspettando da ventiquattro ore e invece è l’agenzia immobiliare che dopo quattro mesi ti chiama per dirti se oggi sarai in casa perché vorrebbero venire con un possibile acquirente, e ti domandi se le persone così deficienti ci nascono o ci diventano crescendo, perché per quattro mesi avete sentito un disco che vi diceva che questo numero di telefono era spento o non raggiungibile perché la scheda era nel cassetto del comodino e non nell’iPhone e oggi come vi viene in mente di chiamarmi e di ricordarmi che ho una casa che però è solo il luogo dove i libri stanno prendendo polvere chiusi in degli scatoloni, infatti vi rispondo che non vivo più lì e un po’ mi viene da vomitare, eppure la posta arriva ancora a quell’indirizzo e quale sarà l’indirizzo nuovo, devo cambiare la residenza, mi devo sistemare, devo trovare un posto nel mondo, così mi alzo dal divanetto e mi si era pure appiccicato il culo sulla finta pelle, vado al bagno a lavarmi la faccia perché tutti questi pensieri mi si attaccano sul viso e me lo ingrigiscono, e così volo struccata e anche oggi si scopa domani. Le persone mangiano qualunque cosa alle undici del mattino e il signore davanti a me mette in croce il barista del bar che non è il bar del Mc Donald’s con un caffè in vetro macchiato caldo con poca schiuma e quella pasta lì che confettura ha dentro, uhm ma è biologica, certo risponde il barista mentendo perché è chiaramente del lidl ma un cliente così merita quella bugia. Penso a quando facevo la barista e a quanto ero brava a nascondere l’odio dietro un sorriso, poi chiedo un caffè d’orzo macchiato col latte di soia, chiedo anche lo zucchero di canna e un’acqua naturale ma a temperatura ambiente e mi rendo definitivamente conto che siamo tutto ciò che diciamo di odiare, sempre.
Mi sposto dal bar e mi incammino verso le sedie davanti agli imbarchi, ho così tanto tempo da perdere che provo a sdraiarmi e una vecchia mi fa presente che questo non è un dormitorio, ma io parto tra sei ore quindi tu magari fatti i cazzi tuoi. È pieno di gente che nella vita fa quei lavori che vorrei facesse il mio futuro marito, e vaffanculo agli ideali di quando avevo quattordici anni e all’essere anti multinazionali e le banche fanno schifo teniamo i soldi sotto al materasso, io i lavori che fanno questi qua non li conosco nemmeno e non li capisco ma so che hanno i soldi che a me mancano e allora mio figlio potrebbe andare alle scuole buone, io potrei evitare di fare tre lavori, ah vuoi fare la mantenuta, no voglio solo che qualcuno mi faccia dei regali, ogni tanto. Io mi faccio una selfie, la guardo bene e penso che forse invece quello che dovrei fare è tornare a fare la commessa e restare così per sempre, fare la vita che fanno le mie coetanee del paesello dove sono cresciuta , trovare un metalmeccanico che la sera torna a casa con le mani sporche di grasso e per abbracciarmi mi sporca la maglia di nero ma tanto la maglia è dei cinesi, mica di Miu Miu. Tra sei mesi organizzerei il matrimonio in chiesa con sua madre che mi porta a fare l’acconciatura dalla sua parrucchiera di fiducia che mi fa sembrare la zia di Tata Francesca, io che bestemmio nella mia mente ma fuori faccio finta che, tra un anno un figlio che non sapremo come mantenere ma che non glielo vogliamo dare un nipotino a mamma, poi a mio figlio dovrei spiegare che da parte mia non ha i nonni, e perché mamma, perché la vita è una merda amore mio ed è giusto che tu lo sappia subito. Gli aerei non li prenderei più, niente treni, niente sogni di gloria e nome su Vanity Fair, ancora con Londra ma fatti una famiglia, trova una stabilità, un blog ormai ce l’hanno tutti, a scrivere fai schifo, probabilmente hanno scelto l’altro candidato e fattele due domande, nel frattempo mi passano davanti le donne che vorrei essere e ci ripenso, che cazzate stai dicendo Denai, ma quando mai ti sei arresa e ti sei omologata a quelle del tuo paesello, non lo so è che sto così male che forse accontentarsi è l’unica cosa da fare. Però sto tornando a Londra, mica a Guidonia, ho persone che mi aspettano e che devo salutare, ma come salutare dove vai, non lo so dove vado ma vado, così, voglio tornare in aereoporto e vedere di nuovo la fierezza negli occhi di chi ha la vita che ha sempre voluto e vorrei rispondere con lo stesso sguardo. Nel frattempo sono arrivati i miei coetanei, le ragazze che sembrano tutte fashion blogger e i ragazzi in gruppo che commentano i loro culi, io sento freddo e non capisco se fa freddo davvero o se sono solo tanto triste, stanno tutti a maniche corte quindi forse è la seconda. Il tizio dell’Alitalia mi dice che mi stampa il biglietto perché magari dopo mi si scarica l’iphone e hey, non dirlo nemmeno per scherzo. Esco e una ragazza con gli occhi a mandorla che fuma una sigaretta slim – di quelle che spero di fumare anche io un giorno, quando diventerò una ragazza di classe, invece di buttarmi tutto il tabacco addosso per girarmi quelle che secondo i vecchi sono delle canne – mi dice che le piace il mio vestito, e che marca è? È di primark, ma lei non sa cosa sia, mi piace il colletto, mi dice, e si stupisce che io lo abbia pagato quindici euro, ha una borsa di Fendi e grazie al cazzo che si stupisce. E in tutto questo su whatsapp mi dicono che menomale che quello lì non te lo sei scopato, che non gli hai fatto nemmeno un pompino, e menomale davvero penso io, e mi accorgo che in fondo mi piaceva solo l’idea di piacergli, che un viaggio con lui non ce lo avrei mai fatto e che adesso vorrei farlo con uno che davvero non potrà mai viaggiare con me, eppure pure quello lì io lo guardavo da tempo da lontano e poi si è accorto di me, ma questo è diverso, e poi magari mi dice anche lui che sono banale e allora vuol dire che è vero e non lo sopporterei. Forse questo qui quelle cose non me le direbbe mai perché ha la faccia buona, ma non lo saprò mai. E allora buon viaggio Denai, torna presto. Ma certo che torno presto, poi non lo so quanto rimango, ma di questo magari ne parliamo un’altra volta.



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