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Sez. Salone del Libro, i temi proposti da Voi - "I Rettili"

Creato il 12 giugno 2012 da Svolgimento @svolgimento

Tema proposto da "anonimo"...ma lo stesso a lui dedicato

Il kobra non è un serpenteMa un pensiero frequenteChe diventa indecenteQuando vedo teQuando vedo teQuando vedo teQuando amo ... da da da da

Lo ammetto: la prima cosa che mi è venuta in mente pensando ai rettili è il refrain di “ Kobra”, una canzone di trent’anni fa cantata da quella pazza scatenata di Donatella Rettore, una specie di David Bowie “de noantri” che ormai è entrata di diritto nell’almanacco delle icone gay in qualità di Befana onoraria.Da quando è riemerso serpeggiando dai meandri del passato, questo tormentone non mi lascia più in pace e la mia corteccia cerebrale non fa che vibrare al ritmo infernale dello ska psichedelico degli anni ottanta.Batto il tempo e canticchio. Il corpo fluttua e dentro cresce una frenesia cieca. Mi ritrovo a seguire a ritroso una bava lucente di ricordi e il filo torto del pensiero incomincia a vibrare, come una lingua biforcuta davanti alla preda.  Il kobra si snoda, si gira, m'inchiodami chiude la bocca, mi stringe e mi tocca.Wow! Wow! Il kobra! Ah! Wow! Wow! Il kobra! Ah!Prendo a dimenarmi come una furia nella stanza. Ossessiva. Da quanto quel Kobra non danza più? Mi muovo alla ricerca di una coreografia dentro i miei spasmi passati, quando lottavo per trovare un senso al mio malessere. Ecco, ora mi vedo:Sono seduta in un’anticamera buia. Rimugino pensieri confusi e ce l’ho col mondo intero. L’ultima volta che me ne sono uscita di qua, ero un fascio di nervi e piangevo. Nemmeno dopo l’ennesima seduta ero riuscita a venire a capo di nulla. Entro e, senza guardare il mio analista, mi allungo sul lettino. Si era deciso durante l’ultima seduta di adottare la classica posizione freudiana perché non riuscivo proprio a parlargli guardando quei suoi occhietti inespressivi trincerati dietro lenti da speziale dell’Ottocento. Non sopportavo quella supponenza e quella totale mancanza di empatia. Ogni volta, mi fissava assente, seduto alla scrivania in attesa di perlustrare il mio cervello. - Ha qualche sogno da raccontare?- Mi tolgo gli occhiali e il mio sguardo comincia a fluttuare come una bolla di sapone. Faccio resistenza. Non ci riesco a cambiare pelle. A togliere le inibizioni e a vivere finalmente la mia vita o, perlomeno, a enunciarla. Parto con le solite esitazioni, giro intorno a me stessa alla ricerca di un approdo e non trovo che accessi sbarrati. I pensieri si fanno intricati e le mie parole, come becchini, a scavare badilate e badilate di caos, dissotterrando il loro nulla. E più parlo più mi accorgo che le parole davvero ti uccidono. Poi un silenzio prolungato e insopportabile. Eccolo il teschio, una folla di vermi.... Vago nell’ombra e non sento che un fetore di morte. 
– Ha provato a tenere un diario dei sogni che fa?– Sì, dottore, sogni ne faccio molti e anche a colori, così nitidi poi da sembrare in 3D– Sento che ormai non posso più tergiversare. Quel sogno è impresso nella mia mente fotogramma dopo fotogramma. Non devo far altro che proiettarlo di nuovo.– Ecco… ehm… ho sognato un serpente gigantesco, era giallo e nero. Non finiva mai e la cosa strana era che risaliva un fiume controcorrente, con un’andatura lenta e maestosa. Io lo guardavo dalla sponda del fiume ed ero più estasiata dalla bellezza di quella visione che impaurita. Mentre lo descrivo, il cranio ottuso e canuto dell’analista diventa una gorgone avvolta dalle spire del rettile. D’un tratto la stanza si riempie di sibili e fruscii.  – No, non ho paura dei serpenti, o meglio, non mi fanno schifo. Dei ragni invece ho un terrore assoluto. Ancora ricordo quel sogno ricorrente che facevo da bambina. Un ragno gigantesco sotto il mio letto e io che mi svegliavo di soprassalto urlando. La mia mano impigliata nella rete del letto e il mostro risucchiato in fondo alla notte. Che tormento!Lo psichiatra mi guarda in silenzio e poi inizia a rassicurarmi. Anche stavolta la cavità della sua bocca piccola e curva non fa che riflettere un vuoto chiacchierone … Comincio a innervosirmi: e che cavolo ci sto facendo qui? A ripitturare di fresco questo sepolcro imbiancato? E intanto la mutazione reclama il suo mutuo. Ok, tutto deve cambiare perché nulla cambi … Ma tanto, se sei un pomodoro, quello rimani – avevo letto da qualche parte di un filosofo che rimetteva in questione tutta la psicanalisi. Evviva! Da qualche parte ci sarà un’altra vita, un altro mondo, un'altra galassia. E io, invece, qui a marcire in questo loculo – D’un tratto mi accorgo che l’ora a mia disposizione è già trascorsa. Sono rigida e madida di sudore. E anche stavolta piango, di rabbia. Una signora in sala d’attesa mi lancia un’occhiata furtiva. Infilo la porta e mi getto tra i vicoli per la città alla ricerca di un angolo dove respirare.Dopo la solita dose di Xanax e i sospiri nel letto, un altro sogno. Sono immersa in un mare cristallino. Nuoto nuda e con me ci sono molte altre persone. La luce è intensa e i colori di una brillantezza quasi irreale. Ricordo lo smeraldo dell’acqua e la scogliera bianca inondata di sole che taglia l’orizzonte alle nostre spalle. E’ una baia incastonata in una foresta. Ovunque macchie di verde e giallo nel silenzio assoluto.Non me sono accorta subito ma, alzando lo sguardo, vedo una sagoma gigantesca profilarsi alla mia destra. E’ un Tyrannosaurus Rex. Più in là, altri dinosauri nuotano indisturbati e io fra loro. Non ho il benché minimo senso di panico, solamente una sensazione di assoluta armonia.Credo di non aver mai provato nulla di più magico e infinito nella mia vita reale e diurna. La settimana dopo eccomi di nuovo al cospetto dello speziale, impietrita nell’agonia dell’attesa.- Prego, si accomodi. Entro titubante nella stanza semibuia. Anche questa volta con una sensazione di sconfitta e un greve senso di colpa. Vedo le mie ansie e le mie fobie aggirarsi come spettri in una cattedrale. Il serpente continua a fissare il mio ubi consistam, muto e ieratico. Tellurico.Sento i suoi occhi verdi che mi fissano da ogni angolo, in attesa di un verdetto. Poi un sibilo:Là i serpi sveston le smaltate pelli/che son perfette vesti per le Fate”.  Come sono brava. Ricordo Shakespeare a memoria. Ma non riesco a farne il consueto soliloquio. Afasia e pesantezza. Non ce la faccio più. Osservo i quadri appesi alle pareti e li trovo di pessimo gusto. Saranno costati un occhio della testa, penso tra me e me. Mi manca l’aria e ho un’improvvisa voglia di correre. Ma non faccio in tempo a incazzarmi o a imprecare che sento una strana sensazione sulla pelle, un calore che scioglie quella pellicola che mi ha avvolta da sempre, stretta come una memoria di latex. Sono finalmente nella dark room. La mia paura vacilla. Il colore dell’ombra sta svanendo in una cascata di colori. Ora nel mio strusciare, la piccola morte si prende il mio essere. E non c’è bisogno che io parli per esprimermi. Ora piango e basta. Ancora e ancora. Ma è un pianto diverso. Un pianto di umori e fiori. Alla fine della seduta, mi alzo e saluto l’analista con una calma del tutto nuova. Fuori, nel salottino di velluto rosso, mi aspetta la mia Fata Morgana. Prima di uscire, mi affaccio allo specchio e mi ritocco il rossetto, strizzandole l’occhiolino.Esco senza voltarmi indietro. Ora sono Euridice e non vedo l’ora di salire sul carro della morte lenta e scatenarmi con lei come una baccante.Vengo inghiottita da un corteo di gente  mezza nuda che si dimena su carri allegorici. Tutti cantano Kobra. Ah, già quest’anno la madrina del Gay Pride è Rettore.BA

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