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Sfiducia alla Camera. Il ministro Romano ce l’ha fatta, ma…

Creato il 29 settembre 2011 da Iljester

Sfiducia alla Camera. Il ministro Romano ce l’ha fatta, ma…

Saverio Romano, il ministro che ieri avrebbe dovuto essere sfiduciato con una mozione del PD, si è salvato dal capestro. La sfiducia è stata respinta, con uno scarto di 19 voti, che non sono molti, ma che nel contesto politico attuale sono davvero tanti. La maggioranza dunque regge e continua nel suo cammino. Eppure… Eppure le cose che non vanno sono tante, ed è inutile nasconderlo.
Non parlo però della sfiducia al ministro in quanto tale, sulla quale ho davvero poco da dire, se non che la sfiducia è piuttosto un atto meramente politico, forzato dall’opposizione più per ragioni di consenso che per vera esigenza di giustizia. È facile sottolineare questo, se si pensa a Tedesco (PD), anch’egli indagato, eppure salvato in Senato con l’aiutino di qualche parlamentare dell’opposizione. E non parlo nemmeno dell’aspetto prettamente giudiziario. Altra anomalia italiana, sul punto, è infatti la facoltà del giudice di ordinare a un PM di rinviare a giudizio un indagato (come è accaduto con Romano). In nessun paese al mondo (forse solo nelle dittature) esiste questa possibilità. Ma l’Italia è l’Italia, e si distingue anche in questo.
Parlo piuttosto dell’aria che tira, del profondo senso di disagio che possiamo toccare in ogni dove nel nostro vivere quotidiano. Parlo della stanchezza degli italiani che non ne possono più di questi teatrini pietosi della politica a fronte della urgente necessità di profonde riforme istituzionali e sociali. Parlo delle parole di quei politici che paventano un giorno sì e l’altro pure pericoli di piazza, e che davvero stanno male sulla bocca di leader di partito che dovrebbero invitare l’opinione pubblica alla calma e alla serenità. Parlo dei privilegi della casta e dei pregiudizi livorosi e rabbiosi dei molti (ormai) «rivoluzionari», protestari e agit-prop della domenica che si ritrovano nelle piazze a sbraitare contro la maggioranza senza alcuna reale ragione se non quella di fare casino. Parlo perciò di chi, a suo modo e per le sue (distorte) ragioni di giustizia, ha perso il senso dello Stato, il senso della democrazia e il senso del diritto, sempre che l’abbia mai acquisito per formazione, sensibilità e cultura.
La verità è piuttosto dura: non stiamo vivendo un bel periodo politico, e certo la colpa non è di Berlusconi, o almeno non lo è nei termini che vorrebbero i sinistri. In Italia non si respira da sempre l’aria liberale e democratica di chi ha (davvero) combattuto per la libertà quasi settant’anni fa. Come spesso ho detto, è piuttosto vero il contrario: in Italia siamo ancora fermi a una resistenza ormai ideologica, di natura bolscevica, che continua a combattere il nemico che le è più connaturale: la democrazia. Del resto, le mire di una buona parte della Resistenza (quella comunista) non erano uno Stato democratico, ma un regime comunista basato sulla rivoluzione e la dittatura del proletariato.
Ecco perché ritengo che la nostra cultura democratica, se esiste, è (stata) probabilmente ferita a morte. Del resto, la cruda asserzione è dimostrata dal caotico panorama politico odierno (non dissimile da quello passato), che trova la sua esemplificazione più viva e tangibile nell’atteggiamento di genetica superiorità morale dei vari comunisti-sinistri-oggi-cattocomunisti-sedicenti-democratici, così visceralmente intolleranti quando il gioco democratico (seppure povero come quello italiano) non sceglie loro ma sceglie il loro opposto, ritenuto non all’altezza e non figlio della (loro) resistenza.
Una tristezza. Seppure questo è solo un aspetto della problematica e patetica politica nostrana. L’altro aspetto, forse ancor più qualificante (poiché appartenente alla cultura italica arraffona, furbona e approssimativa nel suo complesso), è l’essersi – la politica tutta – fatta Casta, con poteri e privilegi esagerati e ingiustificati. E non parlo del legittimo argine alle prevaricazioni giudiziarie (la democrazia – ho sempre detto – si sorregge sulla suddivisione dei poteri, che spesso necessita di zone di ammortizzamento quali le guarentigie costituzionali), ma di tutti quei vantaggi, diritti e poteri che non trovano giustificazione nelle esigenze di governo, e che piuttosto trovano ragione (irragionevole) nello status. Quasi che – ma è chiaramente una metafora – i nostri politici (e non solo loro) siano i «nuovi» nobili di un antico Stato assolutista, e i Palazzi le lussuose corti dove tenere banchetti opulenti e stringere rapporti d’affari che avvantaggiano solo i poteri forti economici e sociali amici; poteri che dominano ogni strato della nostra comunità, la quale intanto si impoverisce sempre più.
Qualcuno, leggendo la metafora, probabilmente potrebbe essere indotto a pensare a Berlusconi. Ebbene andrebbe fuori strada. Perché il pericolo insito nella politica nostrana non sta nelle notti «allegre» del Premier a Palazzo Grazioli, o nella sua «strenua» lotta contro gli assalti giudiziari, ma si annida nel più subdolo (e globale) atteggiamento di chi – tramite questi assalti e i pistolotti moral-giudiziari sparati dall’informazione amica – contrabbanda e giustifica la propria legittimità a esercitare il potere, fondandone la pretesa su un rigido rispetto formale delle istituzioni democratiche, che però puntualmente elude nella sostanza. Perché è questo il nocciolo del problema italico: l’elusione costante e sistematica dei princìpi della democrazia. La loro frode sostanziale, in nome di un vuoto formalismo retorico variamente definito, finalizzato a garantire il dominio economico e sociale dei vari potentati economici e oligarchici.

 

di Martino © 2011 Il Jester


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