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Sfregio vandalico all'Abbazia di San Mauro

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

E’ stata di recente “vittima” di un atto vandalico per il quale all’esterno è stata interamente dipinta di rosa. E’ l’abbazia di San Mauro che sorge in una posizione strategica, a pochi chilometri a nord di Gallipoli, su una suggestiva collina prospiciente il mare, chiamata Serra dell’Altolido. Del complesso monastico di san Mauro rimane la chiesa: un edificio di limitate dimensioni, con facciata a capanna, sormontata da un campanile a vela, dalle tonalità calde della pietra locale. Ora, purtroppo, è tutta di color rosa. L’amministrazione comunale di Sannicola si è subito attivata per sensibilizzare l’opinione pubblica e trovare fondi necessari a restituire l’edificio, così vilmente deturpato, al suo colore naturale.
Un bene prezioso dunque per il quale è opportuno ricostruire l’ evoluzione storico- artistica. L’origine dell’insediamento italo-greco di San Mauro è riconducibile ai secoli X-XI. La prima menzione relativa all’abbazia risale al maggio 1149 ed è conservata in una pergamena in lingua greca. Si tratta quindi di un centro di cultura bizantina che fino a tutto il secolo XIV ha avuto un’importanza capitale anche da un punto di vista economico tanto da essere promosso a sede della curia vescovile di Gallipoli quando la città fu distrutta da Carlo I D’Angiò (1268-69). L’interno è a tre navate separate da arcate ogivali, con tre absidi. L’abbazia si impone all’attenzione degli studiosi per il ricco programma iconografico che si snoda su tre livelli: le immagini campite su pilastri e nei sottarchi tra le navate; un registro narrativo con il ciclo cristologico; nove profeti dentro clipei nella volta a botte. A questi si aggiungono gli affreschi della calotta dell’abside centrale in cui si ritrova un dipinto del primo XVII secolo, raffigurante San Mauro tra una coppia di angeli sembra richiamare lo schema della Deisis bizantina (Cristo tra la Vergine e San Giovanni Battista). E ancora, nel cilindro, sono rappresentati quattro santi Vescovi con i relativi testi liturgici; sino a qualche decennio fa si riconoscevano i Santi Giovanni Crisostomo e Basilio. Il ciclo di affreschi neotestamentari si impone nel panorama storico artistico dell’Italia Meridionale per qualità e complessità narrativa. E trova il suo incipit nella Natività, o quel che ne resta, campita sulla parete destra verso l’abside, per poi proseguire con numerose altre scene (di cui alcune restituiscono solo pochi frammenti) fino alla Discesa nel limbo sulla parete sinistra.
I pilastri sono affrescati con immagini di santi vescovi e monaci accompagnati da iscrizioni esegetiche in greco. L’intero programma decorativo sembra potersi collocare alla fine del XIII secolo, o poco dopo, per analogie stilistiche con la coeva pittura greca paleologa. Ultimamente, dunque, si è tornati a parlare di questo scrigno di tesori, ma sinora la chiesa non è stata mai oggetto di un’organica opera di restauro, anche se di recente sono stati condotti dei lavori di messa in sicurezza del ciclo pittorico interno, durante il quale sono emersi nuovi affreschi rimasti per secoli celati sotto la calce. Secondo il restauratore Giuseppe M. Costantini che ha diretto gli importanti lavori, questa potrebbe diventare l’occasione per recuperare e valorizzare l’indiscussa importanza storica del monumento. Insomma qualcosa si sta già muovendo. E a breve uscirà un volume dedicato all’abbazia, a cura di Sergio Ortese, per la collana de là da mar, che raccoglie l’intervento scientifico di studiosi di fama internazionale e di alcuni giovani ricercatori.


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