Nel Gujarat il Jainismo é una religione molto seguita e rispettata, e la comunità Jainista é molto influente e numerosa. Quasi ovunque accanto a templi indú e moschee si trovano i caratteristici templi Jain, eleganti nella struttura e scintillanti di marmo bianco. Non so di preciso che posto occupino nelle complicate gerarchie della societá indiana, ma di certo sono una delle comunitá piú ricche e con il pù alto livello di istruzione, e spesso hanno posti di prestigio in partiti politici , nelle amministrazioni, in importanti societá e aziende.
Il Jainismo é la religione non-violenta per eccellenza: i Jain sono rigorosamente vegetariani e ripudiano ogni tipo di violenza su uomini e animali, compresi gli insetti. Il loro concetto di non-violenza ( ahimsa ) è simile a quello delle antiche scritture induiste e dello Yoga ( conosciuto in occidente soprattutto grazie a Gandhi ), ma è portato all’estremo, quindi oltre ad astenersi da atti violenti bisogna evitare tutti quei comportamenti che potrebbero anche indirettamente causare danno ad altri. In particolare i monaci Jain sono dei veri estremisti in questo senso: non si curano con medicine occidentali, non si rasano i capelli ma se li strappano, non si lavano, puliscono il terreno dove camminano per evitare di uccidere insetti invisibili, vivono di elemosina ma non chiedono esplicitamente nulla. Alcuni vivono tutta la vita nudi, come i naga baba induisti. Ma la cosa più estrema in assoluto praticata da alcuni monaci Jain è il suicidio rituale per inedia, il Sallekhana. Dal punto di vista del monaco non è un vero suicidio, visto che per loro è un semplice passaggio da uno stato all’altro e non un atto disperato contro la vita, anche se per noi occidentali non è semplice capire la differenza. Non voglio avventurarmi in giudizi o descrizioni approssimative senza conoscere in modo approfondito questo rituale, per chi vuole saperne di più consiglio questo articolo che spiega la cosa in modo esauriente. Tempo fa vidi un documentario che seguiva tutte le fasi, fino alla morte, del Sallekhana di una monaca Jain. Non lo consiglio a chi si impressiona facilmente.
I Jain credono che ogni essere vivente sulla terra abbia un’anima uguale a quella di tutti gli altri, quindi la base della loro religione è il rispetto per ogni forma di vita. Pensano che il mondo sia eterno e che non esista un Dio creatore e distruttore da adorare. Come gli induisti credono nella legge causa-effetto ( karma ) e quando un’anima si purifica completamente dal karma negativo diventa un Arihant, un liberato. La differenza con Induismo e Buddismo è che i Jainisti credono che il karma sia una vera e propria sostanza materiale che impedisce all’anima di raggiungere la liberazione. I 24 Tirthankara venerati dai Jain non sono delle divinità ma degli illuminati che hanno indicato la via agli umani: il più importante è l’ultimo, Mahavira, che visse nella stessa epoca del Buddha e organizzò i vari insegnamenti dei Tirthankara in una vera religione.
Tra i vari luoghi sacri del Jainismo Shatrunjaya, la collina sacra che si trova vicino a Palitana, nel Gujarat meridionale, occupa un posto speciale ed é considerata uno dei pellegrinaggi più importanti. Secondo le tradizioni e le leggende Jain Adinath, il primo Tirthankara ( vissuto teoricamente tra la fine dell’età della pietra e l’inizio della civiltà umana, almeno 10000 anni fa ) tenne qui il suo primo sermone. Shatrunjaya era già un luogo di pellegrinaggio conosciuto nel V secolo, anche se i primi templi sulla collina furono costruiti solo attorno all’anno mille. Furono tutti distrutti dagli invasori musulmani nel medioevo, quindi quelli che si possono vedere oggi furono eretti dal 1500 in poi. Sono quasi 1000, quando si arriva in cima alla collina è una visione realmente straordinaria.
Arrivo a Palitana nel tardo pomeriggio, mi trovo una stanza nell’hotel di fronte alla stazione dei bus e poi vado a farmi un giro. La città fa abbastanza schifo, come molte altre del Gujarat che hanno avuto qualche secolo di splendore come piccoli Principati e poi dopo l’indipendenza sono precipitate in un abisso di squallore e di degrado, un buco nero che ha inghiottito quasi tutto ciò che c’era di bello. La mattina seguente parto molto presto con un tuc tuc per la base della collina, che si trova a circa 5 chilometri dal centro. E’ fondamentale partire presto perché la salita è lunga e perché dopo le 9-10 il sole diventa quasi insopportabile, questo lato della collina è quasi spoglio. La morbida luce del mattino mi accompagna nella prima parte della salita, salgo piano insieme ai molti pellegrini, che sono sia jain che induisti, in India i famosi centri di pellegrinaggio sono frequentati un po’ da tutti. Ci sono anche dei pellegrini che se la fanno in ginocchio con uno scopino: puliscono ogni scalino e poi vanno avanti, credo ci voglia minimo un giorno intero. Altri invece, disabili, anziani o ricchi che non hanno voglia di camminare si fanno portare da dei portantini ( che mi ricordano quelli della Golden Rock, in Birmania ). E’ un pellegrinaggio molto bello e abbastanza particolare: bisogna salire una lunghissima scalinata di oltre 3500 scalini, il paesaggio è semidesertico e l’atmosfera è molto mistica. Dopo circa 3000 scalini si raggiungono infine i primi templi e la vista si apre spettacolare su tutto il complesso e le campagne circostanti. Questo panorama ci ripaga ampiamente della fatica. Se il cielo è limpido si può vedere anche il Golfo di Cambay ( quello diventato famoso perché fu il punto d’arrivo della marcia del sale di Gandhi ), ma in questo periodo c’è molta foschia e la visibilità scarsa. I templi Jain a prima vista sembrano simili a quelli hindu, ma sono più spogli e austeri. Ci sono delle statue in marmo di uno dei Tirthankara al centro rivolte nelle quattro direzioni dei punti cardinali e un atrio dove pregare e meditare.
Una volta sceso decido di farmi un altro pezzo a piedi, con la speranza di trovare un buon ristorante ( che stranamente non c’è vicino al tempio ). Ne trovo un paio che non fanno thali e poi, grazie alle indicazioni di un negoziante, finisco in una specie di mensa/cooperativa per operai che serve thali “all you can eat” per sole 40 rupie. E’ buonissimo e ben piccante come piace a me.