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Si accettano miracoli, Siani e una comicità semplice

Creato il 29 dicembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il commento di Massimo Padoin

Summary:

Che la crisi colpisca tutti purtroppo è un dato di fatto, anche chi è convinto di esserne immune, e questo perché dentro il proprio ufficio, con un lavoro ben retribuito di tagliatore di teste, è quasi impossibile pensare di essere vulnerabili. E se proprio così non fosse, che potrebbe fare il malcapitato neodisoccupato Fulvio? Si accettano miracoli inizia così e prosegue non tanto diversamente da Andiamo a quel paese, recente pellicola di Ficarra e Picone. Alessandro Siani nella sua nuova commedia infatti, come già per il duo comico palermitano, dalla moderna città si ritrova catapultato nel paesino d’origine trascinato dal fratello parroco (Fabio de Luigi), una località che sembra esser rimasta bloccata nel tempo. Luogo quasi rimasto fermo agli anni quaranta dell’immediato dopoguerra, strade polverose, bus e vie di comunicazione d’epoca, un bel passo indietro per chi era abituato alla vita contemporanea e dagli affari in città.

E per chi era solito macinare soldi in una grande azienda, che stimoli potrebbe trovare in posto così arcaico, quasi insignificante? Sfruttare le credenze della gente del luogo, trasformando un miracolo (o presunto tale) in un brand di successo. La modernità in questo modo penetra il paesino, e ad esser sfruttata è la devozione religiosa degli abitanti e la loro creduloneria. Le lacrime di San Tommaso sono la testa d’ariete che Fulvio usa furbescamente per creare il più classico dei marketing religiosi, trasformando il piccolo borgo in una meta turistica per credenti. Proprio da ciò fuoriesce il lato più comico e divertente di Si accettano miracoli, un continuo contraltare tra la modernità (schede SIM per le chiamate del Signore) e l’ingenua buonafede di persone sincere a credere ancora nei segni della fede.

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Ma se lo scaltro Fulvio senza ombra di dubbio vende fumo per gli occhi non lo fa per il semplice interesse personale, ma anche per salvare da un istituto un gruppo di giovani bricconi, una compagnia di ragazzini che sembra essere un misto tra gli orfani di Hook – Capitan Uncino e le Simpatiche canaglie. Anche da questo si vede l’interesse di Siani nel voler di realizzare una commedia che giochi non solo sulla contrapposizione d’identità temporali differenti ma che siano vero e proprio elemento caratterizzante che riesca ad estraniare la sua pellicola da un contesto per rimandarne ad un altro.

Per intenderci, Si accettano miracoli cerca di donare una certa magia favolistica al suo racconto attraverso due epoche differenti, richiamando costantemente l’atmosfera di un periodo d’oro del cinema italiano, appunto quello del secondo dopoguerra, cui si lega indissolubilmente nell’immaginario generale l’idea di un cinema più puro e semplice. Non è un caso che ad esser protagonista è la figura di un furbacchione che si arrangia da sé sfruttando le credenze di una piccola comunità, e altrettanto non è un caso che ad essergli affiancato, e contrapposto, è una figura classica, quella del fratello parroco che vuole il meglio per la sua gente. A reggere il tutto è il buonismo che ne fuoriesce dall’inaspettata scoperta della semplicità della tradizione, e proprio in questo Siani con il suo film cerca di farsi carico di un’eredità importante.

Una caratteristica, questa, che mostra una volta di più anche l’ambizione di Alessandro Siani d’essere il Massimo Troisi dei giorni nostri. Seppur lontano da quella nota malinconica che contraddistingueva il grande comico napoletano protagonista de Il postino, è innegabile comunque l’intenzione di Siani di realizzare una commedia che mescoli diversi spunti, facendo sì che Si accettano miracoli sia quantomeno un esempio meno prevedibile nella commedia nostrana odierna.
Il problema però è quello di una certa programmaticità nel voler apparire come Troisi, forte soprattutto della napoletanità, che imbriglia Siani ad essere più che altro un emulo che un comico completo, e questo probabilmente continuerà ad essere così finché non si emanciperà da quell’aura di ammirazione nei confronti dell’illustre predecessore.

di Massimo Padoin per Oggialcinema.net


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