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Sì al trucco, #noalpelosuperfluo

Creato il 06 maggio 2014 da Davideciaccia @FailCaffe

Piccolo compendio della cura estetica. Perché il pericolo è sempre in agguato.

In difesa della cura del corpo.

Il primo pelo ad essere brutalmente staccato dal comodo bulbo, apparteneva ad un uomo. Lo stesso si può dire del primo fondo tinta: utilizzato da un sacerdote egiziano. Sulle rive del Nilo, infatti, si sviluppò un ampio assortimento di prodotti cosmetici: la bellezza aveva in primo luogo un significato

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spirituale, si credeva fosse gradita agli dei, e fosse l’unico mezzo per avvicinarvisi. Per tale ragione via peli dalle gambe, dal torace, via barba e sopracciglia (che, al massimo, si tatuavano). La Kohl, una polvere scura ottenuta dalla mandorla, piombo, rame e altri cosmetici erano utilizzati per dare agli occhi quella forma a mandorla e uno sguardo provocante che tanto attizzava l’egizio, maschio o femmina che fosse; al pari del rossetto (ottenuto da acqua e argilla) e i primi smalti. Insomma, Cleopatra, se avesse potuto, avrebbe twittato #noalpelosuperfluo.

Nei poemi di Omero, la “bellezza” non era ancora ben definita, per cui, di volta in volta, il poeta esaltava le membra armoniose e possenti di Achille, o le guance rosate di Andromaca. Solo in età classica la scultura di Fidia canonizzò i criteri estetici: un corpo è bello quando ogni sua parte ha una dimensione proporzionata all’intera figura. L’atleta è il soggetto preferito, insieme agli Dei, cui si avvicina; le qualità morali sono importanti quanto quelle fisiche cui sono accostate, proporzione e coraggio, muscoli e volontà. In una frase, kalòs kai agathòs: bello e buono.

Quanta meno ipocrisia nell’ammettere candidamente che puoi pure essere intelligente, ma se sei cesso/cessa, non ti guardo neppure! Ora, invece, nella società del benpensante e del politicamente corretto, un’accusa di essere “super superficiale”, bruto e villano, non te la toglie proprio nessuno!

Normalmente, e in questo caso fortunatamente, i costumi dei vinti sono duri a morire, e, una volta conquistata l’Ellade e il Nord Africa, anche i rozzi romani furono influenzati dalla cultura estetica dei popoli soggiogati. Se gli attuali pronipoti di Cesare e Marco Antonio, dopo millenni di make up, riescono a sfornare frasi della serie “puoi acchittarte quanto te pare, ma si sei nata busta de piscio, nun poi morì boccetta de profumo”, pensate cosa saremmo adesso, al netto dell’influenza dei cugini sulle altre sponde del Mediterraneo.

Brueghal

Ma la storia, purtroppo, non può essere una linea retta che tira dritta verso il buon gusto, e, per ogni Ovidio (che gli Dei lo abbiano in gloria) che scriveva il “De medicamine facies feminae”, c’era un Tertulliano che, nel suo “De culti feminarum”, condannava come peccaminose le abitudini estetiche delle donne. I valori squisitamente spirituali del cristianesimo, infatti, mal si conciliavano con la ricerca della bellezza fisica. Quanti danni per una sola religione!

Il medioevo, come già affermato su questo blog, si conferma un periodo buio, in cui la morale cattolica e la conquista dei popoli nord-orientali, insieme, portarono al decadimento completo dell’estetica. Bisogna attendere il rifiorire delle città per ritrovare un minimo di dignità: Dante, nel presentare Manfredi di Svevia dirà “biondo era e bello e di gentile aspetto”, come bionde sono le sue madonne, appartengano all’Empireo o ai profani gironi infernali (vecchio mandrillo).

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Non che al tempo di Botticelli, poi, se la passassero troppo meglio: la sua Venere è la codificazione precisa del gusto estetico del periodo: pinguedine, abbondanza, e rotolini di grasso come se non ci fosse un domani. La donna (e l’uomo) rinascimentale spesso ricorreva a vere e proprie diete ingrassanti. Ora, so per certo che questa è una delle fantasie più recondite dell’uomo moderno, compreso chi scrive, ma siamo sicuri che il gioco valga la candela?

Ma, tornando al nostro excursus, è un dovere dedicare un inciso e celebrare Giovanni Marinello che nel 1562 diede alle stampe il primo trattato di cosmetica dell’epoca moderna “Gli ornamenti delle donne”. Sempre nella nostra penisola si sviluppò una concezione di vita che celebrava la bellezza del corpo e l’estetica dell’apparire, alla vista, e all’olfatto: sono italiani anche i primi profumieri (la corrispondente genealogia femminile poi, è ancora viva e vegeta: la profumiera prolifera da Bolzano a Lampedusa).

Nell’età elisabettiana, però, il trucco al viso cominciò a essere associato al cattivo stato di salute. Le donne ricorrevano a una cosmesi accentuata, per nascondere le malattie. Pulizia e naturalezza erano, invece, l’ideale da raggiungere: si pensava che la pulizia del corpo fosse legata a quello dello spirito quindi la femmina pulita era considerata leale e incorruttibile.

Durante il periodo Vittoriano, poi, il trucco cominciò a essere associato a prostitute e attrici e nel 1770 il Parlamento emise un decreto talmente indegno da far sembrare una dichiarazione di Borghezio un portato di civiltà: sarà condannata come strega qualunque donna abbia conquistato un marito tramite capelli finti, tacchi alti, profumi e belletti e il matrimonio sarà considerato nullo. Tempi grami per il maschio british!

Ben diversa la concezione dall’altra parte della Manica, dove secoli di corti depravate e vita gaudente si facevano sentire, e labbra e guance rosse erano simbolo di salute e divertimento; della serie: voi sarete pure diventati la più grande potenza al mondo, ma che palle!

A cavallo tra le due guerre mondiali, invece, traina da icone quali Greta Garbo e Marlene Dietricht, prese piede la cosmesi di massa, e la cura del corpo smise di essere prerogativa delle sole classi agiate: nascono aziende come Max Factor, L’Oreal e Revlon, prova inconfutabile del fatto che dal capitalismo, ci abbiamo guadagnato tutti.

Nel secondo dopoguerra è stato il cinema, soprattutto americano, a proporre nuovi canoni: bionde platinate, brune appetitose o rosse incendiarie diventano le ispiratrici della moda, del look, dello stile; mentre per gli uomini valgono i modelli del duro, del rubacuori e del tenebroso, che ancora oggi tengono botta all’avanzata del metrosexual, e della matita sotto gli occhi.

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Negli anni ’70, catastrofe tra le catastrofi, emerse il movimento femminista, pronto a scagliare anatemi contro il concetto stesso di abbellire se stesse per piacere agli uomini.
Le donne rifiutavano il rossetto; il trucco degli occhi ed il mascara scomparsero quasi
completamente, e la ceretta…peggio che andar di notte! Sono i maschi allora, a dover mettere mano al beauty case, e, capeggiati da David Bowie, ci portano dritti negli anni ’80, gli anni del glam e dell’attenzione viscerale all’estetica.

Tutto sembra procedere per il verso giusto, insomma, ma i pericoli sono sempre alle porte e stare sul chi vive è una necessità.

Una ricerca di Wilkinson afferma che la depilazione femminile è abbastanza diffusa in Inghilterra, Spagna, Francia e Italia (73%, ma dobbiamo fare meglio); mentre in Germania solo 4 donne su 10 si affidano a questa consuetudine. Tale percentuale non si vedeva da qualche decennio, da quando l’avvento della pornografia (ingiustamente denigrata) ha portato al boom della depilazione. Un altro segnale inquietante è il progetto fotografico di Ben Hopper, volto a riportare in auge il pelo sotto le ascelle. Ma quel che è peggio, il problema non riguarda solo l’universo femminile, anzi, noialtri siamo ancora più riottosi a mettere mano a pinzette, o, ancora con più forza, ci rifiutiamo di estirpare il pelo superfluo dalla schiena (ancora una volta, #noalpelosuperfluo), in nome di qualche atavica concezione di virilità che spesso si traduce in un più banale schifo.

Allora, fronte comune contro l’indecenza, meno ideologia e più ceretta.

 


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