“Si prega sosta a barriera”. Inizia cosi’, dopo due ore di volo ryanair, tra hostess e steward che fanno spietata concorrenza ai vu’cumpra’ e spacciano di tutto ormai, nel corridoio tra le file di sedili, questa settimana inglese, al ritiro delle vetture a noleggio. La considerazione che debba essere maledettamente complicato trovare dei madrelingua a cui chiedere come si traducono quattro parole in un italiano di uso comune, in zona aeroporto poi, mi distrae quanto basta per lasciare che della guida sul lato sbagliato della strada si occupi per il momento qualcun altro.
E si parte, alla volta dei college di Cambridge. Splende il sole, insperata fortuna; il venticello scompagina bianche nuvole gia’ spettinate. L’erba perfetta tra gli antichi edifici riluce verde e brillante; sul fiume e’ tutto un incrociarsi di creature che si dedicano al punting. Le strade pullulano di turisti e di studenti di inglese; l’ora del te’, o meglio, i dolci che la accompagnano, esercita il suo fascino in ogni stagione.
Attraverso i cortili, i ponti, i porticati, le navate delle cappelle e penso alle ore di studio che si devono essere accumulate in questi luoghi, in secoli di storia. Ricordo la mia facolta’, edifici nuovi, meri luoghi di passaggio per il mondo del lavoro e mi chiedo che differenze ci possono essere a passare invece tra le stesse stanze in cui hanno vissuto decine di premi nobel, fior fiore di uomini dotti, tra attimi di goliardia e giorni di impegno, con panorami cosi’ su cui far correre lo sguardo. Un ensemble australiano canta la messa in una cappella: ci fermiamo ad ascoltare, seduti nel coro ligneo.La domenica si spegne tranquilla, dopo una cena all’inglese: il comune accordo della compagnia e’ quello di non barare e unire al turismo “visivo” anche quello gastronomico. Mi tengo lontana dalle salse di menta e, per ora, non ho niente da ridire.
Il lunedi inizia ad Ely, lungo la navata di un’imponente cattedrale che mi lascia incantata a rimirare in alto, il naso in aria, soffitti altissimi e vetrate incredibili. La lady chapel, bianca di pietra e di luce, conserva un’ incredibile fierezza nonostante tutte le sculture dei bassorilievi, sopra gli scranni, abbiano avuto mozzata la testa in una feroce pulizia iconoclasta. Mi faccio un giro da sola, poi un altro con la guida, una signora che incarna squisitamente il mio archetipo immaginario british e che parla un inglese che commuove, tanto e’ perfetto. Elaboro complessi di inferiorita’ perfino in luoghi di culto.E poi a Oxford, questa sera, ma ho solo un assaggio di quartiere periferico: visto che il tempo regge, domani ci perderemo tra le colline.
Londra e’ a ferro e fuoco, leggo tra le notizie del web. Mi sembra impossibile, nella quiete di queste vie di case vittoriane color mattone, ingentilite dai fiori, dall’edera e dai colori vivaci dei portoni d’ingresso. Qui fai pochi passi oltre le strade e ti ritrovi in parchi immensi, alberi centenari si piegano in forme intrecciate, i daini ti guardano curiosi al di la’ di un laghetto, non ci sono rumori. Si, qui Londra e’ mille miglia lontana.