Le analisi sfornano, impietose, un dato: se il calcio vuole avere una possibilità di crescere, è indispensabile investire sui settori giovanili. Sarebbe una cosa sana anche da un punto di vista etico, ma quanto meno lo è sotto un profilo economico e finanziario.
Una delle ragioni del recente successo della Bundesliga tedesca (sebbene lo strapotere del Bayern stia iniziando a far temere un effetto “Liga”, cioè una situazione in cui il campionato è appannaggio di una o due squadre e le altre fanno le comparse) è da ricercarsi nella decisione della Federazione tedesca, all’inizio degli anni 2000, di investire pesantemente sul calcio giovanile. Oltre ad intervenire sulle squadre professionistiche, che sono state obbligate a destinare risorse crescenti a tale scopo, la Federazione ha anche messo a disposizione mezzi tecnici e finanziari per aumentare le dotazioni infrastrutturali a disposizione dei ragazzi che vogliono giocare a calcio.
In questo post non ci dedicheremo però ai settori giovanili nell’accezione comune. Non parleremo cioè delle scuole calcio delle squadre professionistiche. Ci fermiamo a un livello apparentemente più basso, forse più nascosto e noto solo agli addetti ai lavori, ma che potrebbe rappresentare un pilastro importante per i futuri talenti da vedere in campo nei nostri campionati professionistici.
Ci guida in questo percorso Roberto Del Ponte, che oltre ad aver calcato i campi da gioco ed essere innamorato del calcio, ha esperienza diretta di gestione di una squadra dilettantistica che si è saputa difendere a livello Regionale ma anche Nazionale.
D: Roberto, possiamo avere un tuo parere sulla situazione dei settori giovanili in Italia? È così drammatica come dicono le analisi o abbiamo ancora delle speranze?
Secondo me sì, la qualità è scesa, insieme all’età con cui ci si cimenta nelle primavere.
Troppi stranieri da paesi poveri già a età troppo basse. Questa soprattutto è una scelta errata delle giovanili professionistiche: in generale non si aspettano i talenti non dotati di fisici già pronunciati e non si sa vedere in prospettiva. Certo questo non vale per tutti e sicuramente non vale per i club di serie A o alcuni di B, ma il trend già dai dilettanti, vero serbatoio di tutto il movimento, è questo.
Allenatori dopolavoristi che poco hanno nel loro bagaglio per capire cosa stanno maneggiando, troppo interesse al risultato di quartiere più che alla crescita dei ragazzi … insomma i risultati sono sotto gli occhi di tutti, una volta per un giocatore primavera di Inter, Juve o Milan mai avresti sentito dire “eh si, ma ha tirato col piede sbagliato”.
D: Ci spiegavi che esistono delle realtà a livello nazionale che possiamo definire di “puro settore giovanile”. Quali sono le punte di eccellenza in Italia?
Le squadre dilettantistiche o a puro settore giovanile in Italia più importanti, a mio parere, sono tre: la US Aldini Bariviera (Milano), la Polisportiva Margine Coperta (Montecatini) e la Polisportiva Vigor Perconti (Roma). In crescita, ma ancora non ai loro livelli c'è il TAU Calcio (Altopascio).
La migliore? Una bella lotta.
La Aldini Milano è stata fondata nel 1930 e pure essendo una Scuola Calcio del Milan collabora sia con il Milan sia con l’Inter. Anche da questa prestigiosissima scuola sono usciti parecchi calciatori professionisti: Capello, Asta, Brioschi, Pistone, Colacone. Ottiene spesso successo nelle categorie Allievi e Giovanissimi, anche a livello nazionale.
Il Margine Coperta, nato nel 1960, ha nell’Atalanta il suo punto di riferimento. Tanto per citare qualche nome oggi famoso, da lì sono usciti giocatori come Guarente, Bianchi, Pazzini, Vannucchi, Bonaventura , oltre che lo sfortunato Federico Pisani. La lista potrebbe essere molto più lunga. Da circa dieci anni la Polisportiva è campione o vice-campione regionale sia nella categoria Allievi che Giovanissimi, raggiungendo buoni risultati anche nella fase delle finali nazionali.
La Vigor Perconti è la più giovane delle tre, essendo nata solo nel 1983, ma ha saputo conquistare un posto importante sia a livello regionale (campionato difficile, come quello della Toscana), sia a livello nazionale.
D: Non ci sono squadre in altre aree?
Certamente. Però in alcune zone (ad esempio nell’area di Napoli, ma anche in Veneto) è prassi frequente l’organizzazione di raduni dedicati agli osservatori delle squadre professionistiche, che possono così farsi un’idea di un numero elevato di calciatori in una volta sola.
È un sistema che funziona e che ha consentito di identificare anche talenti poi approdati in Nazionale, ma che funziona meno come scuola calcio, perché i ragazzi tendono ad essere visionati ancora molto giovani e ad essere poi inseriti direttamente nei settori giovanili delle squadre professionistiche.
D: Tu hai gestito una squadra dilettantistica, immaginiamo fra mille difficoltà. Quali potrebbero essere gli interventi della Federazione per favorire lo sviluppo delle squadre dilettantistiche o a “puro settore giovanile”? È solo un problema di soldi o anche di cultura da creare?
Mah! io ho fatto anche un corso in Via Po’, proprio sotto l’amato Palazzi, ero li in mezzo a tutti quei papaveri anche il venerdì che morì Raciti a Catania (sembrava di essere a Saigon quando gli americani partivano in elicottero).
Beh, in quei mesi avevo affrontato l’argomento delle quote nelle società dilettantistiche definendo demenziali le quote giovani con presenze garantite per non più di 4 dai 18 ai 21 anni con il risultato che 1 su 100 andava avanti e gli altri smettevano, facendo restare nel movimento giocatori di esperienza i cui costi sono ben più alti rispetto i costi dei giovani.
La mia ricetta parlava non di un under 18, due under 19/20 e un ventunenne. Per come avrei organizzato io la serie D sarebbe stata più o meno 8 under 23/25 sempre in campo. Questo tipo di riforma avrebbe garantito la crescita dei ragazzi sino a un’età giusta per qualità di giocatori che avevano fatto fatica a imporsi in rose giovanili di serie A o B, magari solo per una crescita fisica non repentina e un abbattimento dei costi per società dilettantistiche che sono sempre in perenne agonia economica. A tutto questo si poteva aggiungere la possibilità di cessione dei migliori elementi al circuito professionistico, ma tant’è quella tesina sarà sotto a qualche tavolo a non farlo dondolare.
D: Facendo un salto “ai piani alti”, quindi alle squadre di Serie A, quali secondo te lavorano meglio sul settore giovanile? È una situazione statica, oppure vedi dei cambiamenti?
Io conosco bene solo Empoli, Genoa e Atalanta.
L’Empoli perché ci collaborava il mio Foce Vara prima che la direzione generale passasse sotto le mie mani e io trovassi un’intesa con il Genoa, all’epoca di Onofri e poi di Sbravati. Con l’Empoli, comunque i rapporti erano rimasti ottimali basti pensare che il loro portiere titolare viene dai nostri campi, il Genoa all’epoca scelse Russo, non potevano permettersi scommettere su 2 portieri (come sono lontani i nostri giorni e c’è chi trova da ridire a Preziosi).
Poi c’è l’Atalanta del mitico Favini, che conosco grazie a Bongiorni che aveva portato nel Margine coperta 3 anni fa mio figlio, allievi d’élite Toscana (un campionato allievi che era ben più difficile di certi campionati allievi nazionali, intanto perché aveva le retrocessioni). Tornando all’Atalanta credo sia il settore giovanile più proficuo, ha avuto un momento di scelte sbagliate con la penultima gestione quando era stata costretta a vendere i migliori non ancora sbocciati all’Udinese, oggi è tornato tutto come prima.
Poi Inter, Milan e Juve sono sempre li, grandi bacini d’utenza e grandi entrature nel tessuto calcistico ma a costi esorbitanti rispetto le tre strutture di cui ho parlato prima.