Sono molto scettico sull’efficacia dei corsi di scrittura creativa. Soprattutto per quell’aggettivo, “creativa”, che mi è sempre suonato pletorico (penso infatti che la scrittura sia sempre creazione, anche quando si redige un crudo verbale). In paesi stranieri dove lo stato generale delle arti e della letteratura è più salubre che da noi esistono cattedre universitarie dedicate a questa disciplina. In Italia si va avanti nella più completa improvvisazione. In buona sostanza i laboratori di scrittura creativa da noi sono diventati una voce importante nel budget di autori già affermati e di case editrici col fiato corto. Soprattutto nel secondo caso la partecipazione al corso nasconde spesso un’allusione alla possibilità di una scorciatoia per la pubblicazione del fatidico primo romanzo. L’aspirante scrittore del resto rappresenta ormai una miniera d’oro per gli addetti del settore. Credo che la diffusione selvaggia di questo genere di corsi abbia provocato a lungo andare un appiattimento complessivo dei linguaggi e delle tendenze richiesti dal mercato editoriale. In certi casi, parlo di corsi d’élite, la partecipazione illude di poter entrare a far parte di una delle tante lobby che si spartiscono il mercato della cultura in Italia. A me sembra che tutto questo meccanismo sia proteso a far ottenere a un certo numero di persone un codice isbn da esibire, mentre in realtà insegnare a fare letteratura significa affrontare un’analisi del romanzo lanciandosi in un’esplorazione di tutto ciò che ne anima il corpo, la coscienza, il cuore. Penso di non sbagliare se dico che, in nove casi su dieci, prima di iscriversi a un corso di scrittura creativa e pagare magari anche qualche centinaia (se non migliaia) di euro, valga la pena leggere un libro come L’arte del romanzo di Milan Kundera. È pubblicato da Adelphi e costa 13 euro. Fra quelle pagine c’è molto di più, soprattutto c’è molto amore per il romanzo letterario, e per chi scrive è uno scrigno pieno di tesori.
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