Non si può morire ballando! Mi dispiace, sarà scontato, da perbenista o tutto quello che volete, ma sono esattamente due ore che non riesco a dire altro. Non so un granché di musica tecno, non sono mai stato alla Love Parade o ad altre manifestazioni simili, ma non riesco a trovare nessun altro commento a quanto è successo ieri a Duisburg. Ho appreso la notizia al telegiornale qualche ora fa, e sono rimasto sconvolto dalle immagini, da quanto riportato dai giornalisti, dai racconti dei presenti e via dicendo. Più di tutto, però, a farmi gelare il sangue è stata la pelle d’oca che ho visto sulle braccia di un mio amico, in piedi di fianco a me, mentre il servizio andava in onda. Quello che, per motivi fin troppo evidenti da ora in poi chiamerò Marco, ora ventinovenne agente di commercio era, fino a pochi anni fa, come dice lui stesso in un dialetto tutto suo, un reverino di quelli “’mbruttiti”. Feste, festini e concerti da sfascio, sempre secondo il suo gergo, erano il suo pane quotidiano dal venerdì alla domenica. Quello che pasolinianamente si può definire il duro del quartiere, ora stenta a parlare ed i suoi occhi rossi e lucidi la dicono lunga su quello che sta tentando di reprimere. La notizia colpisce duramente anche me e per diversi minuti non riesco a dire nulla, mentre il servizio va avanti e alcune persone intervistate, degli esperti suppongo, parlano di Woodstock, di Street Parade, di desiderio di aggregazione, di errori di organizzazione, di alcol, di sballo giovanile… Sento la rabbia scaldarmi il sangue e afferro per un braccio il nostro Marco,lo costringo a sedersi e a spiegarmi di cosa stanno parlando quei signori in giacca e cravatta comodamente seduti in uno studio televisivo, mentre sullo sfondo scorrono le immagini di 19 ragazzi morti, calpestati dalla folla, schiacciati come bestie in un tunnel senza via d’uscita. Non è deformazione professionale. E’ soltanto che ho bisogno di capire, o quantomeno di tentare di capire, come sia possibile il verificarsi di una cosa del genere. L’unico modo che ho, adesso, è chiedere a lui. Era uno di loro… Saprà darmi una spiegazione razionale, mi dico, aggrappandomi alla debole speranza di trovare un senso ad un abominio del genere tra le parole di chi certe cose le ha vissute. Marco parla a fatica, e nello stesso modo riesco a capire, dal turbamento nella sua voce, che quelle sensazioni le ha conosciute di persona. Forse, soltanto ora si sta rendendo conto, veramente, di quanto abbia rischiato in passato. “Si andava solo per sballarsi… Droga, alcol e musica ti trascinavano in un’altra dimensione… Tutti, o almeno così mi sembrava, erano sballati o si stavano sballando… Si ballava, sconosciuti che diventano grandi amici… Non so quanto di chimico c’era in quelle sensazioni, ma era difficile ricordarti chi eri…” La mia rabbia sale sempre più, e lui quasi sussulta quando chi chiedo senza mezzi termini se vale la pena rischiare così per sballarsi a suon di musica. “Non c’entra un c……!” Mi risponde con energia ritrovata “Non puoi capire cosa significa trovarti in mezzo ad altre 50, 100, 500.000 persone! Sballato, ubriaco o lucido che tu sia, la folla ti spinge, ti porta dove vuole e tu non puoi far nulla, ti rendi conto di essere completamente impotente… Se la cosa funziona, è organizzata bene e tutto fila liscio, è una situazione inebriante… Ma quando c’è qualcosa che non va, ti rendi conto di poter essere schiacciato in qualunque momento… Ti prende il panico e diventi un animale in trappola… E’ lì che serve l’organizzazione, le vie di fuga guidate, i soccorsi… Sono tornato a “quattro zampe” dalle feste peggiori, in Italia e all’estero… Ma se chi le ha gestite sapeva il fatto suo, il massimo che poteva capitare era il ritrovarti a dieci chilometri da dove eri arrivato o di svegliarti il giorno dopo in un posto sconosciuto, magari con qualche livido di troppo… Quando l’organizzazione non è adeguata, ci vuole un attimo a generare un circolo vizioso… La gente non ancora in preda al panico comincia ad agitarsi, il sevizio d’ordine si agita più della folla e comincia a comportarsi come un mandriano alle prese con un branco da riportare all’ordine, prima soltanto irrigidendosi, poi con tutti i mezzi a disposizione… Da lì è un attimo. Vie di fuga sbarrate per mantenere l’ordine, la folla in preda al panico sbatte a destra e sinistra e tenta in tutti i modi di sottrarsi alla ressa, quelli che ci riescono improvvisando vie di fuga vengono respinti da chi pensa di contenere la cosa come se si trattasse di una piena da arginare, fatta d’acqua e non di persone… La gente comincia a cadere e poi… Ma quale aggregazione spontanea, quale Woodstock… Quella era una valle! Come si può pensare di spingere in una trappola come un tunnel una folla in preda al panico, addirittura ributtando giù i pochi fortunati che erano riusciti a scampare al massacro arrampicandosi sui muri?!” Marco è sconvolto, quanto e forse più di me. Ha parlato di getto, fuori di se, come se urlasse a se stesso. Io non ho il coraggio di farlo parlare ancora… Il solo fatto di essersi trovato in situazioni simili, lo ha reso partecipe della tragedia tanto da farlo vacillare. Rabbrividisco, quindi, al pensiero di come si possa sentire chi l’ha vissuta in prima persona, scampando per miracolo e magari perdendo un amico… Tento ora in queste righe di ritrovare un minimo di stabilità, cercando di trasformare in periodi di senso compiuto la reazione che due ragazzi comuni hanno avuto di fronte ad una tragedia assurda come questa. Purtroppo, la cosa non mi riesce molto bene ed ancora sento la necessità di chiedere, di urlare… “Si può morire ballando?” Se, come può apparire ad un qualsiasi signor Marco, (e quindi figuriamoci a chi di dovere) la questione era stata organizzata male, non si poteva pensarci prima? Se era ovvio, come dice Bertolaso, che un tunnel era la soluzione peggiore da adottare, non si poteva pensarci prima? Se, come riportato oggi da Repubblica, le forze dell’ordine avevano denunciato le carenze organizzative del piano messo in atto per la sicurezza, non si poteva porvi rimedio? Se, se, se… Io non sono il signor Marco, non sono Bertolaso, non sono l’organizzatore e non sono il Papa che esprime cordoglio per quanto accaduto. Sono soltanto uno qualunque, che non riesce a smettere di chiedersi se si può morire ballando. Purtroppo, tra tutti i se prima elencati, mi trovo costretto a rispondermi di sì. Ora, però, sto cominciando a chiedermi… Grazie a chi?
guarda il video della tragedia
guarda il servizio della tv tedesca
di Andrea Mariani
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