Alla fine dell’anno scorso, un istituto di ricerca su media e tecnologia statunitense – il Pew Research Center – ha chiesto a migliaia di esperti del settore le loro previsioni su cosa succederà alla privacy da qui a dieci anni.
Il quadro che emerge non sembra essere particolarmente ottimistico: il 55% degli intervistati ritiene che non si troverà nessun accordo condiviso in materia di diritti e privacy. Tutti, però, concordano su un aspetto: la privacy che avremo nel 2025 sarà molto diversa da quella che abbiamo oggi.
Le rivelazioni degli ultimi anni sul controllo esercitato da parte dei governi e i problemi legati alla protezione dei dati degli utenti hanno diffuso un certo scetticismo sul tema.
Una delle principali tendenze, però, sembra essere la negoziazione della propria privacy caso per caso: un’azienda potrebbe chiedere l’accesso ai nostri dati per farci utilizzare il servizio che offre in modo gratuito (ed è quello che già avviene, per citare solo un caso, con Facebook). Con servizi sempre più precisi e personalizzati, c’è da scommettere che molti utenti rinunceranno volentieri alla propria privacy in cambio di applicazioni o siti web più veloci e intelligenti.
Con un numero di dispositivi connessi sempre crescente, però, viene anche da chiedersi quanti dati le aziende avranno in mano e che tipo di profilazione degli utenti potranno realizzare: i big data sono già un tesoro oggi e, ogni giorno, siamo noi stessi a fornire sempre più elementi sulle nostre abitudini e sui nostri gusti alle aziende.
C’è inoltre chi sostiene che sempre più aspetti della nostra vita saranno pubblici e condivisi e la privacy scomparirà dalle preoccupazioni delle nuove generazioni. Ma c’è anche chi potrebbe rifiutare di cedere i propri dati, scegliendo di cancellare le tracce della propria vita online (sempre che sia possibile, in futuro, nonostante il diritto all’oblio).
Privacy o comodità: voi da che parte state?