Vorrei condividere con voi del Bibrinews questo "nota" personale dalla pagina
facebook di Nicolai Lilin (
qui), che offre un'incredibile spunto di riflessione per capire l'italiano medio oggi. Facciamoci un esame di coscienza: siamo davvero così?
Cari amici, vorrei condividere con voi un'esperienza che mi ha portato a pensare ad alcune cose importanti per me, cose che con difficoltà riesco a spiegare ad alcuni amici occidentali, e che spesso suscitano polemiche tra me e loro.
Oggi mi è capitato di fare un discorso con un giovane, forse mio coetaneo, che ho incontrato per strada mentre tornavo a casa dal garage. Lui andava forte con la bicicletta e stava quasi per investirmi, sfiorandomi appena e battendo contro una macchina parcheggiata, perdendo così l’equilibrio. Quando l’ho aiutato a rialzarsi mi ha detto che era molto arrabbiato perché è disoccupato e si lamenta dello Stato che non gli riconosce diritti e non lo aiuta nella vita. Parlava con concetti abbastanza confusi, evidenziando alla rinfusa i mali della nostra società facendo un cocktail tra Grillo/Saviano/Travaglio/Barnard, contrastando con l'ottusità di un neonato le forze oscure che lui definiva il “vero potere”, la “casta”, “loro”. Quando ho chiesto di concretizzare l'oggetto delle sue critiche mi ha risposto che tutta la classe politica era marcia e sbagliata. Gli ho chiesto perché lui non si prende l'impegno di sfruttare il proprio intelletto, entrare in politica e cambiare tutto in meglio, visto il suo vivo interesse per la questione, e mi ha risposto che secondo lui era uno spreco di tempo in quanto impossibile. Gli ho chiesto allora cosa voleva fare nella vita, se svolgeva una professione, se aveva qualche specializzazione, mi ha detto che gli piaceva lavorare con il computer, ma in Italia è impossibile trovare un lavoro da programmatore dove pagano bene e non se la sentiva di emigrare in un altro paese perché non voleva allontanarsi dai suoi. Mentre parlavamo, continuava a ripetere che siamo tutti poveri, e io ho ribadito che non era del tutto vero, secondo me più che poveri, siamo confusi e circondati da tanta disinformazione e dalle cose inutili e dannose, e di conseguenza incapaci di percepire la dignità, non abbiamo più riferimenti stabili, siamo sempre insoddisfatti, come un perfetto consumatore in fondo deve essere. Lui mi ha risposto che non era un consumatore, che era un antisociale, sottolineando ancora la sua condizione di povero.
Di povertà ne so qualcosa, ho visto cinque guerre e sono cresciuto negli anni quando nell'URSS distribuivano 300 grammi del pane grigio per famiglia e solo presentando la tessera del razionamento. Il latte si beveva una volta al mese e per comprarlo bisognava fare la fila alla porta del negozio la notte prima dell'apertura, la carne non c'era proprio: è disperazione pura che ho vissuto in prima persona, anche io ho fatto molte di queste file e so benissimo cosa significa stare sette ore in piedi muti e obbedienti come le bestie al macello per poi tornare a casa a mani vuote perché il latte è finito prima che arrivasse il mio turno. So cosa succede quando un uomo uccide l'altro non per i soldi ma per il cibo e ho visto i bambini morti di denutrizione e le madri impazzite perché non sapevano come sfamare i figli. I cittadini che si trasformavano in barboni che si mangiavano l’un l'altro come degli animali, storie di cannibalismo che finivano nelle prime pagine dei giornali vicino alle notizie della giornata, come se mangiarsi tra gli umani fosse diventato naturale.
Questa era la vera povertà di una società piegata dai mali inguaribili: una generazioni di uomini giovani trasformati dalla propaganda sovietica e dalla guerra in Afghanistan, dalla miseria, ignoranza, ipocrisia della società in alcolisti, tossici, criminali e barboni; i vecchi lavoratori dell'epoca comunista come un gregge infetto era lasciato ad annegare nelle onde del neocapitalismo occidentale interpretato al modo russo, con arroganza e prepotenza, il crollo totale dell'etica, delle basi morali, il trionfo della bestialità. Lo guardavo con suoi jeans da rapper newyorkese, l’orologio svizzero, i capelli tagliati alla moda, le scarpe sportive di marca pubblicizzate dal divo-calciatore di turno, la sigaretta in bocca scossa dal permanente ghigno, le mani con cui si toccava le palle imitando lo spacciatore messicano che controlla se il pacco con la cocaina è ancora al suo posto e non sapevo cosa rispondergli, perché da parecchio tempo ho notato che qui in Italia molti giovani non capiscono quello che dico e racconto, pensano che io sia un altro personaggio dei “Simpson” o “South Park” (che piacciono anche a me, non è una critica nei confronti dei cartoni). Per ciò gli ho consigliato di smettere di fumare, suggerendogli in questo modo di cominciare a risparmiare, visto che si lamentava della povertà. Mi ha risposto: “ma che c'entra?”. Ho capito che il problema nostro non è in sé la politica, l’economia o altro, ma proprio questo “che c'entra” della maggioranza dei giovani che permette al marcio di invadere tutto. Forse sbaglio, forse reagisco male a un’abissale differenza che c'è tra me e i prodotti della società occidentale. Voi cosa ne pensate?