La prima considerazione da fare è questa: solo l’uomo produce rifiuti! Ci avevate mai pensato? Il riciclaggio, di cui si parla tanto oggi, insieme alla raccolta differenziata non è una cosa nuova. Anzi era
nella mia infanzia cosa nota e praticata con risultati incredibili pur constatando che il volume ed il tipo di rifiuti era molto diverso.Anche se al momento della stesura della Costituzione non fu redatto nessun articolo per quanto riguarda l ‘inquinamento dell’acqua, suolo, aria, elettromagnetico ecc. (perché queste cose erano sconosciute) si può affermare che il rispetto degli articoli presenti nella Costituzione avrebbe evitato e ridotto in grande misura la situazione attuale. Tutti questi articoli ( 2, 3 , 5, 9 ,24, 32, 33, 34, 35, 41, 42, 43, 44, 49), se rispettati, sarebbero bastati a difendere il nostro ambiente dai gravi danni che gli sono stati arrecati e che tutti vediamo.
Nel 1952-55 esistevano ancora, presenti nei nostri quartieri, “ i solfanai” che raccoglievano metalli, carta e cartone che venivano pesati e pagati. Per questo motivo, a Santa Viola (Bologna) dove ero nato, insieme ai mie amici, giravamo con una corda attaccata alla cintura a cui era attaccata una calamita da dinamo di bicicletta.
Facendola strisciare sul terreno, rimanevano attaccati al magnete piccoli pezzi di ferro, chiodi, “coperchini” di bibite, forcine per capelli e spille da balia che noi raccoglievamo in un contenitore poi venduto al “solfanaio”. Con il ricavato potevamo permetterci, nella baracchina dei gelati, un “Cof”, un ghiacciolo diffusissimo perché poteva farti trovare con “lo stecco premio” un cof gratis.
Il solfanaio, quando aveva riempito il suo velocipede da trasporto a trazione umana (no all’inquinamento), riportava tutto ai rottamatori ed aveva un riconoscimento in denaro in base al peso.
Il vocabolo dialettale Róssc (immondizia, pattume), spesso italianizzato dai bolognesi in Rusco, deriva dal latino classico ruscus, che significa «pungitopo o arbusto cespuglioso», usato anticamente per fabbricare scope. Sembra che sotto a queste piante si sepellissero i residui di organico che si sarebbero poi trasformati in composta.
Altri sostengono che la parola “rusco” derivi dall’ acronimo R.U.S.CO. presente nei primi bidoni dei rifiuti messi in giro dal Comune di Bologna, ai tempi di Zanardi, il ‘’sindaco del pane”, che significava RIFIUTI URBANI SOLIDI COMUNALI.
Dopo la messa al bando (gennaio 2011) delle sportine di plastica, si è diffuso nei supermercati e nei negozi l’utilizzo da parte dei consumatori di sporte di tipo tradizionale. Mia nonna aveva una sportina a rete coloratissima, di capacità incredibile che, vuota, aveva un ingombro piccolissimo e si poteva tenere in borsetta.
In questo “povero paese” vengono consumati 17 miliardi di sacchetti in polietilene; se li stendessimo per terra, ogni anno potremmo ricoprirci interamente la Valle d’Aosta. Per fabbricarli consumiamo petrolio come 160 mila automobili, il traffico di una città. La “vita funzionale” di un sacchetto di plastica monouso dura circa 12 minuti, il tempo medio tra la cassa e il frigo. Poi diventa rifiuto, e la sua vita come oggetto inutile e inquinante va da 20 a 200 anni! Quando il sacchetto diventa rifiuto finisce per lo più nell’oceano (il 10% dei rifiuti che approdano sulle coste Americane è costituito da sportine! ) e circa 200 varietà di specie marine sono vittime di tale rifiuto, che scambiano per cibo e, ingerendolo, ne sono soffocate.
Il decreto attuativo doveva fermare questo scempio, ma le buste alternative di derivazione vegetale (mais) completamente biodegradabili non hanno avuto grande successo, sembra per un alto costo di produzione (?). In Italia,si è dato il permesso di smaltire gli stock di sacchetti non bio e quindi il decreto attuativo, pur promettendo multe per chi non si adegua, non ha avuto grande successo.
Nel nostro paese si era poi già aggirata la legge (a lanciare l’allarme è stata Legambiente) “all’ Italiana”, immettendo sul mercato dei sacchetti definiti biodegradabili ma che in realtà non lo sono. E’ il caso degli ormai famosi sacchetti realizzati con la vecchia plastica corretta con additivi per l’autodistruzione, definiti troppo presto biodegradabili, e quindi adatti alla trasformazione in composta. Gli addittivi frantumano il sacchetto, ma rimane il materiale plastico non deperibile.
E’ quindi molto importante, secondo me, spostare il problema direttamente sui consumatori (è un peccato far notare che chi produce è anch’esso un consumatore e avrà dei nipoti, dei figli ecc.. Mio padre diceva sempre che le cose che abbiamo sono da considerare “in prestito” dai nostri figli e per essi dobbiamo mantenerle inalterate).
Vi invito a leggere Disegno di legge d’iniziativa popolare, a norma dell’articolo 71, comma 2, della Costituzione, e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352 ( dal sitowww.leggerifiutizero.it) Siamo noi che dobbiamo, per il bene dei nostri figli o nipoti, attivarci per cercare di ridurre l’inquinamento, sapendo che il il traguardo può essere raggiunto.