di Donatella Zappini
Indignazione
[in-di-gna-ziò-ne]
Vivo risentimento che si prova per ciò che si ritiene indegno, riprovevole, ingiusto
Sinonimi: rabbia, sdegno, collera, ira, irritazione.
Avete mai riflettuto su ciò che vi fa più indignare? A me capita spesso di sentirmi indignata per qualcosa, direi ogni giorno, probabilmente anche più volte al giorno. Mi indigno, ad esempio, quando leggo i giornali e trovo le solite affermazioni di un capo di governo che si crede di essere Dio; oppure quando spero di leggere delle notizie utili e trovo solo gossip. Mi indigno quando su facebook trovo dei gruppi che inneggiano al razzismo, all’odio, alla violenza; quando vedo foto di ragazzine mezze nude con su scritto “quanto mi dai?”. Mi indigno quando cammino per strada e ogni giorno rischio un incidente per colpa di chi si sente furbo e in diritto di correre con le auto o le moto, infischiandosene della propria vita e di quella altrui. Mi indigno ogni giorno all’università per le persone che non sono capaci di svolgere il proprio lavoro, per i professori che trattano come esseri inferiori gli studenti, per gli studenti che credono di essere migliori dei professori. Mi indigno di fronte ad un Governo, ad una Regione, ad un Comune che non sanno rispondere ai reali problemi della gente: il lavoro, l’istruzione, la sanità, il diritto di vivere in un ambiente sano. Mi indigno se il Ministero dell’Istruzione diventa Ministero della Distruzione della cultura italiana, delle scuole pubbliche e delle università; mi indigno se giovani studenti come me, il cui futuro è minacciato esattamente come il mio, restano completamente indifferenti e si preoccupano solo di avere garantita la loro sessione di esami e le loro benedette e inutili lauree. Ecco, mi indigno di fronte all’indifferenza, soprattutto quella delle nuove generazioni che dovrebbero essere il futuro di questo Paese. Mi indigno di fronte all’ignoranza, la prepotenza, la presunzione, l’arroganza, lo strapotere, l’abuso, l’ingiustizia, la violenza, la prevaricazione, la maleducazione, l’inciviltà. Mi indigno dinanzi le persone a cui non interessa difendere i propri diritti, perché tanto non serve a nulla; mi indigno perché ci sono persone che i propri diritti non si possono permettere di difenderli, perché non hanno i soldi, devono mantenere una famiglia o semplicemente perché sono sottomessi. Mi indigno perché vedo sempre meno gente intorno a me che si indigna.
Mi indigno se quando mostro la mia indignazione agli altri mi sento rispondere “e che ci vuoi fare?”: istintivamente mi viene voglia di radere al suolo i tre quarti della popolazione mondiale. Mi dicono che dopo un po’ ci si abitua alle ingiustizie del mondo e che lamentarsi non serve a nulla. Mi dicono anche che “siamo solo una goccia nell’oceano” e che le nostre voci non vengono ascoltate perché le cose vanno così da sempre e non cambieranno mai. E quando me lo dicono non provo solo indignazione, ma anche tanta rabbia e tanta desolazione. E mi chiedo come sia possibile che dei ventenni mi dicano “siamo solo una goccia nell’oceano”.
Per come la vedo io (e purtroppo pochi altri come me) “siamo la goccia che fa traboccare il vaso”: quel vaso pieno di tutta l’indignazione che ogni giorno siamo costretti a provare. Lamentarsi serve a poco, ma è necessario che l’indignazione non diventi solo un sentimento con cui convivere quotidianamente; è necessario che ad essa facciamo seguire quella naturale re-azione che, giorno dopo giorno, ci possa portare a migliorare la nostra vita e la società in cui viviamo.
A noi italiani l’indignazione dura meno dell’orgasmo, e dopo viene il sonno… Serve un residuo di energia in più, una resistenza che duri un po’ di più (Marco Paolini).