Dispiace sentire che il pilota di MotoGp Marco Simoncelli sia morto. In gara, travolto da due suoi colleghi.
Dispiace, ma è una cosa calcolata: gli sport motoristici sono tutti pericolosi, a due o a quattro ruote, e qualcuno che ci lascia le penne c’è sempre, e sempre ci sarà, nonostante tutte le norme e i dispositivi di sicurezza che si potranno pensare e adottare.
Non per questo bisogna pensare di chiudere le gare: semplicemente basta farsi una ragione del pericolo, e non stupirsi degli accadimenti, dopotutto il rischio è ripagato da popolarità e sostanziosi contratti.
Nello specifico si tratta di un pilota mediocre , capace di buoni risultati in qualifica, ma non in gara, dotato sopratutto di una presenza mediatica importante per via della sua folta capigliatura, che lo ha fatto emergere dalla massa , e non tanto per i suoi meriti sportivi, al contrario di qualche suo collega meno mediatico ma piu costante in gara.
Ma non sono i meriti sportivi a determinare la possibilità di salvarsi di un pilota: nella maggioranza dei casi è solo fortuna: basta avere l’incidente nel momento sbagliato e si finisce al creatore.
Ma si finisce al creatore anche per motivi di lavoro, e quello di Simoncelli era il suo lavoro, senza la diretta tv, basta pensare ai soldati delle missioni di pace, o peggio al muratore che cade dall’impalcatura, dove neanche lo stipendio compensa il rischio di far crescere un figlio orfano.
Come finiscono sottoterra tanti ragazzi, magari emuli di Simoncelli, nelle strade a cavallo della loro motocicletta: ma diversamente dalla motoGP, non esistono medici pronti a dare soccorso intervenendo all’istante.
Alla fine dispiace, ma cinicamente c’è da dire che morto un papa se ne fa un’altro…
Brian Boitano (redattore)