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Siddha è un appellativo; deriva dal sanscrito siddhi («potere miracoloso, magico»), degli appartenenti a una scuola mistica tamīl (detti localmente cittar), di carattere popolare ed esoterico. Essi si collegano alla tradizione mistico-ascetica del siddha yoga di ispirazione śivaita.
Nel corpus della letteratura siddhi. si annoverano tre gruppi di autori: un gruppo di medici e alchimisti, di epoca incerta, che scrissero trattati (per lo più inediti) sia in prosa sia in versi; un gruppo di filosofi e poeti (10°-15° sec. d.C.), le cui opere si basano sullo yoga tantrico (tra cui: Civavākkiyar, Paṭṭinattār, Pattirakiri); un gruppo di poeti che si ispirano alla tradizione s. fino al 19° secolo.
I tratti più noti del pensiero siddhi sono l’avversione al sistema delle caste, al rituale brahmanico e al culto delle immagini, cui si contrappone la ricerca del contatto diretto con dio attraverso una rigorosa disciplina fisica e mentale, che, nelle sue forme estreme, sarebbe capace di alterare la normale fisiologia fino all’acquisizione di poteri extrasensoriali.
La mistica siddhi è di carattere misogino, condanna la seduzione del piacere e della bellezza che distolgono da dio.
Nello yoga si distinguono tradizionalmente otto (ashta) tipi di siddhi (anche se lo Yoga Sutra di Patañjali, ne analizza 68), divisi in tre categorie:
- Siddhi della conoscenza: garima/prapti (onnipresenza) e prakamya (perfezione dei desideri).
- Siddhi del potere: isitva (supremazia sulla natura), vasitva (controllo delle forze naturali) e kama-avasayitva (completa soddisfazione).
- Siddhi del corpo: anima (diventare piccoli come un atomo), mahima (diventare infinitamente grandi), laghima (levitazione).
La poesia siddhi, dal linguaggio crudo e diretto, come per Pāmpāṭṭicittar (15° sec.), presenta anche toni più miti, specie per gli appartenenti all’ultimo gruppo, che ebbe tra i suoi esponenti più illustri Tāyumānavar (18° sec.).
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