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Oggi è il Sidney Lumet Day e a me viene già da ridere. A costo di palesare la mia solita ignoranza crassa, mi tocca ammettere di non sapere assolutamente nulla di questo regista, che oggi avrebbe compiuto ben 90 anni. Credo anzi di non aver mai visto neanche un suo film, tranne forse Sono affari di famiglia la prima volta che era stato passato in TV (non mi era piaciuto, ero piccola) e di sfuggita Serpico, Quarto potere e Il verdetto, pietre miliari cinematografiche che tuttavia non ho mai avuto modo di recuperare degnamente. Quindi oggi ho lasciato che i colleghi blogger più saputi si accaparrassero, giustamente, i loro film preferiti e poi ho scelto a caso, ispirata dalla trama, Equus, diretto da Lumet nel 1977.
Trama: il giovanissimo Alan, in un impeto di follia, acceca sei cavalli. Al Dottor Dysart viene chiesto di capire cos'abbia spinto il ragazzo a compiere un simile gesto e di aiutarlo a liberarsi dai suoi demoni. Purtroppo, man mano che la cura procede, sarà proprio lo psicanalista a mettere in discussione sé stesso...
Equus è un dramma psicologico tratto dall'omonima opera teatrale di Peter Shaffer, che ne ha sceneggiato anche l'adattamento cinematografico, con protagonisti Richard Burton e Peter Firth (entrambi bravissimi e giustamente candidati all'Oscar), presenti anche nell'edizione teatrale con gli stessi ruoli, rispettivamente, di psicanalista e paziente. L'impianto teatrale della pellicola è palese fin dalle primissime immagini, in cui uno sconvolto Dottor Dysart si rivolge direttamente al pubblico manifestando il suo tormento per poi andare a ritroso e raccontare la disturbante storia del giovane Alan. La maggior parte delle sequenze sono girate in ambienti chiusi e con movimenti di macchina assai limitati, con inquadrature concentrate soprattutto sui volti dei personaggi o sulla loro figura intera rapportata, nel caso di Alan, con i protagonisti veri e propri della pellicola, i cavalli. Non mancano ovviamente immagini oniriche, surreali o angoscianti, in particolare nel corso dello scioccante finale interamente virato in rosso, mentre il montaggio alterna con stacchi decisi il presente, in cui i personaggi raccontano le proprie vicende, e il passato, che viene rivissuto nella mente di tutti i testimoni della terribile vicenda. Il risultato è un film a tratti lento e sonnacchioso, soprattutto nella prima parte, che tuttavia cattura a poco a poco lo spettatore grazie alla potenza del mistero che circonda entrambi i protagonisti e l'ambigua figura di Equus, il Dio servo, il terribile cavallo che tutto vede.
Se infatti la regia, pur essendo curatissima e animata da guizzi a dir poco geniali, soffre inevitabilmente i limiti del legame con un'opera teatrale, la storia raccontata e le immagini mostrate sono invece tuttora disturbanti e non oso immaginare come dev'essere stato accolto Equus negli anni '70. Al di là delle abbondanti scene di nudo e delle implicazioni sessuali del rapporto tra Alan e i cavalli, quello che mi ha colpito per la modernità è infatti il tormento dello psicanalista che si sente inutile e sconfitto in quanto costretto ad “uccidere” i suoi pazienti, privandoli di ciò che li rende diversi dal resto dell'umanità e costringendoli a conformarsi ad una società normale che, a poco a poco, li trasformerà in adulti apatici, privi di passione, ignoranti e vuoti anche a discapito di tutta la cultura di cui potranno cibarsi. La critica alla fredda società inglese non è neppure tanto velata e non a caso è il cavallo a diventare il fulcro di tutta la storia, quel cavallo che viene valutato più di un ragazzo reso incapace di vivere la vita e la sessualità a causa di una madre bigotta che riconduce tutto a Dio e alla religione e un padre frustrato che non è in grado né di imporsi né di comunicare con moglie e figlio. Alan, per quanto malato e regredito a miti pagani e primitivi è riuscito comunque a costruirsi un mondo in cui fuggire dalla freddezza della famiglia e della società, protetto da un dio animale che allo stesso modo è servo e padrone; lo psicanalista, volontariamente divenuto freddo, prigioniero di un matrimonio insoddisfacente, trincerato dietro sciocche ribellioni borghesi, si ritrova così sopraffatto dall'invidia nei confronti del suo paziente e scopre che, guardando l'abisso, ci si ritrova osservati e giudicati a nostra volta. Equus, il Dio cavallo, non scompare ma diventa padrone del vuoto che governa la vita del Dottor Dysart, chiedendogli di rendere conto per la sua arroganza e per i “delitti” commessi nel corso degli anni. E questa, sinceramente, è un'immagine che mi ha messo più ansia di tutti gli horror visti finora. Provare per credere!
Sidney Lumet viene festeggiato assai più degnamente e con competenza a queste coordinate. ENJOY!
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