eFFe è un punto di riferimento nella rete per coloro che sono interessati alla cultura digitale. Ha contribuito a mettere su Finzioni qualche anno fa, si occupa di lettura e scrittura digitale nel tempo libero, di lavoro insegna Politica Comparata e New Media and Politics alla Florida State University di Firenze – qui il suo blog. eFFe l’ho conosciuto nel lontano 2011, Zagreb era uscito da qualche mese e io mi preparavo a presentarlo a Napoli, in una bella libreria di piazza Plebiscito. Era, credo, la mia seconda presentazione dopo il Salone del Libro, quindi ancora inesperto e tremolante. Io e la giornalista eravamo in disaccordo su tutto, anche sulla conduzione della presentazione: facemmo scintille. In fondo alla sala, in piedi, dietro l’ultima fila di sedie, vidi uno che se la rideva: era il buon eFFe. Ci prendemmo un caffè e mi intervistò per Finzioni. Da lì ne abbiamo fatte di cose insieme! Forse la più importante è La Lettura Digitale e il Web. E con vero piacere, quindi, che oggi pubblico su Scrittore Computazionale un’intervista al mitologico eFFe, uno che ne sa.
Cosa c’entra la molecola con eFFe? Scoprilo in fondo all’articolo!
Hai fatto il lavapiatti, l’editor, il ghost-writer, hai contribuito a mettere su Finzioni, ma adesso, voglio dire, che stai facendo?
Se escludiamo il lavoro con cui pago l’affitto, faccio un sacco di altre cose: per esempio sto per pubblicare un pamphlet sul lavoro culturale dei book blogger (hai presente no?); sto portando avanti, con un nuovo editore, il progetto di una collana di ebook dedicati alla cultura digitale (ne scrivevo qui); sto costruendo un’antologia di saggi con un noto scrittore di cui non posso fare il nome sennò poi dovrei ucciderti… e poi sto lavorando molto da vicino a un progetto relativo al self-publishing di cui saprete presto. Dormo massimo cinque ore per notte, bevo 6 caffè e una Red Bull al giorno, di media. Prendo ogni mattina, da quattordici anni, 20mg di esomeprazolo e un Gaviscon dopo ciascun pasto; il mio gastroenterologo si è appena fatto la villa in campagna.
eFFe… Tutti si chiedono, pure il turco sotto casa mia che, dice, fa il Kebab più buono di Berlino, chi sei veramente? E perché ti fai chiamare con una sola lettera?
Ti concedo uno scoop impagabile: sono il figlio segreto di Michel Foucault, e la F è un omaggio a mio padre… ok scherzo… Cito Foucault perché scrisse una cosa che per me è una specie di principio guida: “Non domandatemi chi sono e non chiedetemi di restare lo stesso: è una morale da stato civile; regna sui nostri documenti”. Ecco, io cerco, per quanto posso, di opporre resistenza a questa logica da ufficio anagrafe, perché credo che le identità – a partire proprio da quelle sancite nei passaporti – siano gabbie, e costituiscano delle ottime scuse per esercitare violenza. Quando hai visto indios messicani vantare titoli nobiliari risalenti al Sacro Romano Impero, donne more convinte di esser bionde, comunisti votare Berlusconi, allora capisci che il concetto d’identità non solo spiega ben poco del mondo, ma anzi ti offusca la vista e tanto vale abbandonarlo. Ora che il web ci consente di esprimere noi stessi al di là delle schematizzazioni che la vita sociale c’impone (un certificato anagrafico, un numero nel registro dei contribuenti, un codice fiscale), perché limitarsi ad essere uno quando puoi essere molti? E poi, diceva il Bardo, “Che cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa, pur con un altro nome, avrebbe lo stesso dolce profumo”…
Insieme ad altri blogger abbiamo partecipato a una sessione ormai leggendaria di Librinnovando 2011 e, sempre nel 2011, abbiamo pubblicato un libro dal titolo “Lettura Digitale e il Web?“. Ecco, ma davvero abbiamo fatto qualcosa di speciale nel panorama editoriale italiano?
Io credo che il vero valore di quel libro – al di là della qualità dei singoli saggi che lo compongono – consista in due sue caratteristiche. In primo luogo, nel suo essere stato uno sforzo collettivo portato avanti in maniera armoniosa ed efficace da persone che non si erano mai incontrare fisicamente prima della pubblicazione del libro stesso. E questo dimostra che intorno a una buona idea si possono agglutinare energie e competenze diverse senza che la componente autorale (o, peggio, egocentrica) abbia il sopravvento (ti ho già detto che sono contrario alle identità vero?). In secondo luogo esso rende ulteriormente evidente che la professionalità, la capacità analitica e la conoscenza stessa non sono più patrimonio di pochi, racchiusi in Istituzioni Riconosciute, ma sono diffuse e condivise, e aumentano quando si lavora in maniera collaborativa. Se la nostra esperienza di book blogger è servita a qualcosa, è stato il far vedere a chi non v’aveva ancora fatto caso che blogger non significa dilettante. Hai notato, per esempio, come subito dopo l’uscita del libro l’industria editoriale abbia rivolto la sua attenzione ai book blogger? Molti sono stati assunti dentro case editrici, qualcuno ha scritto altri libri, gli editori stessi hanno imparato a usare gli strumenti del web (Twitter, su tutti) proprio prendendo spunto da quanto facevano tanti book blogger. Si è sviluppata, insomma, una dialettica positiva tra chi i libri li fa e chi li legge e ne scrive. E a me piace pensare che La lettura digitale e il web vi abbia contribuito.
Mi piace molto il tuo blog, “da eFFe”. Elegante, minimal, efficace. In uno degli ultimi post sostieni che “i blog”, ma non necessariamente i blogger, sono i nuovi intellettuali. Ti chiedo: perché un intellettuale oggi dovrebbe scrivere in un blog e non su una testata giornalistica?
Un intellettuale, oggi, dovrebbe scrivere ovunque gli sia concesso di parlare liberamente. Su molte testate on-line questo è ovviamente possibile, e anzi, se ci fai caso, ormai i principali quotidiani e riviste ospitano blog assai seguiti, come Piovono Rane o Terza Pagina. Tuttavia, come dicevo prima, la rete è piena di blogger assai competenti e non tutti trovano o possono trovare spazio su testate tradizionali. Ma quello che conta – insisto – non è tanto dove scrivi ma cosa scrivi e a quante persone riesci a parlare: una buona idea resta tale anche se l’ascoltano in due, ma una buona idea che circola tra centinaia e migliaia di persone è un favore che ci facciamo, come individui e come comunità. Se questo è vero, allora l’obbiettivo di chi ha a cuore la diffusione della cultura dovrebbe essere quello di moltiplicare gli spazi di libertà e discussione e di riempirli con contenuti di qualità.
Qui le cose cambiano sotto i nostri occhi: case editrici che imparano a fare gli eBook, scrittori che cercano, o dovrebbero cercare, nuove forme di scrittura, lettori perduti davanti a un’offerta infinita e variegata. S’è parlato di rivoluzione, di evoluzione, ma tu, eFFe, ci stai capendo qualcosa?
Ti do una risposta da intellettuale: tu usi il verbo capire, che deriva dal latino càpere e che significa prendere, afferrare. Ne deriva che nell’atto della comprensione c’è sempre un momento di violenza, di soggiogamento, in cui la realtà viene afferrata e in un certo senso ingabbiata in uno schema esplicativo. Ma come facciamo noi, oggi, a capire – cioè afferrare – qualcosa che è in costante mutamento? Quello che possiamo fare – nell’industria editoriale come in tanti altri campi – è osservare i cambiamenti introdotti dalle tecnologie digitali e provare a indirizzarli secondo i nostri valori. Ostacolarli o rifiutarli significa condurre una battaglia di retroguardia, destinata alla sconfitta; piuttosto, ha molto più senso acquisire familiarità con gli strumenti, i loro linguaggi e le loro dinamiche, per poi “piegarli” a un uso che sia funzionale a dei valori. E se questi valori sono la condivisione, la cooperazione, la sostenibilità, la ricerca della qualità, la tutela e la promozione della diversità, allora tanto meglio!
Il mestiere dell’autore sta cambiando, questo mi pare assodato. Ovviamente “scrivere” è ancora importante, ma smanettare con blog, Twitter e social media lo è altrettanto. E andare per le strade? Dove è finito il buon vecchio contatto con il lettore?
C’è, e più forte di prima! Se fino a qualche anno fa un lettore doveva sperare che qualcuno organizzasse una presentazione con il suo autore preferito in una libreria o in una biblioteca della propria città, oggi può contattarlo direttamente con una email, o su Facebook o Twitter, e magari organizzare egli stesso una presentazione nel bar sotto casa! Per i lettori, questi sono tempi di grandi possibilità. Per gli autori la faccenda è più delicata: alcuni non hanno affatto voglia di parlare coi propri lettori, non l’avevano prima dei social network e men che mai ora; altri si trovano spiazzati di fronte alle modalità di discussione in rete; altri ancora approfittano dell’interazione on-line con i propri lettori per migliorare la propria scrittura (e le proprie vendite). Le possibilità sono molteplici. Quello che conta è ricordarsi che il web è uno spazio (anzi, una serie di spazi) proprio come lo sono le piazze, le biblioteche, le librerie, le strade: vanno tutti ugualmente presidiati.
Una volta Twitter era un posto silenzioso, quasi noioso. Oggi sembra un mercato, un posto rumoroso, in cui prevale chi grida-twitta di più. Che idea ti sei fatto del “nuovo” Twitter? Vedi alternative?
Uno strumento vale per l’uso che se ne fa. Sappiamo che nell’ultimo anno o poco più, Twitter ha visto impennare il numero di utenti in Italia, molti arrivati sulla piattaforma al traino di personaggi famosi; sappiamo anche, per esempio, che i giornalisti ormai lo usano regolarmente sia per reperire notizie che per rilanciarle, e anzi il “luogo” Twitter è diventato un po’ come uno studio televisivo, in cui i riflettori sono puntati sui 140 caratteri sparati dal cantante o dal politico di turno. Io ho smesso di usarlo come strumento di conversazione, perché i limiti intrinseci del suo funzionamento (e i miei personali limiti di tempo e pazienza) non consentono di sviluppare dialoghi costruttivi; lo uso per tenermi informare e per rilanciare dei contenuti che giudico validi, raramente roba che scrivo io e più spesso link a cose che leggo in giro. E finora, per questi scopi, resta un mezzo utile.
Ed infine, per incrementare la mia playlist su Spotify, qual è la musica che ascolti la mattina quando bevi il caffè?
Ho una playlist che si chiama “Energetica” che faccio partire appena alzato e che comincia con il celebre valzer di Strauss “An Der Schönen Blauen Donau” (il suo crescendo è stimolante ma delicato), continua con il tema principale della colonna sonora di Indiana Jones (di John Williams), con la Tarantella del Gargano e con Curre curre guagliò dei 99posse.
La molecola nell’immagine è un amminoacido standard, la Fenilalanina, uno dei “mattoni” che costituiscono le proteine. Gli amminoacidi sono rappresentati in diversi codici, uno di questi è costituito da una sola lettera. Beh, indovinate con quale lettera si rappresenta la Fenilalanina?!
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