Nella zona del paese in cui abito, tra il lunedì e il sabato, c’è, spesso, un gran movimento. Il complesso di scuole in fondo alla strada inghiottisce adolescenti di prima mattina e li risputa fuori verso le due, restituendoli a famiglie e social network. L’andirivieni di persone e automobili si concentra in queste fasce orarie, durante le quali i residenti si guardano bene dal mischiarsi alla folla. Per il resto del pomeriggio, anche se rimane impossibile trovare un parcheggio sotto casa, la tranquillità riprende possesso del territorio, accomodandosi in serate quiete.
Nei giorni festivi la calma regna invece sovrana. Comincio a lasciare socchiuse alla primavera, nelle ore centrali della giornata, le finestre della mia camera e poco disturba la concentrazione del mio studio. Scende la pioggia a scrosci o a gocce sottili; i raggi del sole giocano a rimbalzare tra le finestre a specchio delle case e disegnano coni di luce sulla scrivania illuminando matite, schemi grammaticali, filamenti di gomma da cancellare. Io studio, finalmente, con ritrovata abitudine e mi riapproprio del tempo.
Dall’esterno giunge il rumore raro dei veicoli che transitano sulla strada statale: la maggior parte si ferma in panetteria, o in chiesa, per la messa della domenica. La velocità è bassa, non c’è nessuna fretta. Gli uccellini tripudiano sui rami fin dalle prime ore del mattino mentre i gatti si muovono di corse frenetiche e improvvise da un tronco all’altro. Le azalee e i rododendri stanno fiorendo, l’acero è tornato a riempire di cremisi il suo angolo, la rosa verde sembra si sia ambientata e rilascia gemme settimanali.
La consuetudine delle domeniche, da poco, è interrotta però da un nuovo suono. L’ho captato quindici giorni fa, l’ho risentito il primo maggio, l’ho incontrato di nuovo ieri. All’inizio credevo fosse l’annuncio di uno spettacolo del circo, o la banda che passava, ma era troppo leggero; poi ho pensato che uno dei miei vicini si stesse esercitando ma nessuno, per quanto ne so, suona uno strumento, diverso dallo scolastico flauto. Note riempivano l’aria e suggerivano motivi conosciuti; si interrompevano di frequente e riprendevano su altre melodie. La musica arrivava ad ondate, da dietro le case, ma si muoveva verso di me con lentezza e non riuscivo, da principio, a capirne la fonte.
Poi l’ho visto, incorniciato dalla finestra: un uomo, fisarmonica al collo, camminava lungo il vicolo poco lontano. A tratti si fermava, per avvicinarsi a chi, incuriosito, aveva aperto la porta d’ingresso e porgeva la mano. Quindi ripartiva, lungo il suono di un altro motivetto. E ieri era ancora qui, nella via deserta del mezzogiorno mentre uscivo di casa in auto.
Non so chi sia né da dove venga. Non suona bene, pasticcia le note e delle canzoni conosce solo il ritornello ma, in queste domeniche sonnacchiose, lui, quasi irreale, sembra concentrare su di sé tutta la realtà.
E’ rimasto fermo per un po’, sotto il lampione, a suonare, in compagnia di una bambina, scura come lui, che trascinava dietro di sé uno zainetto di scuola rosa con le rotelle. Dallo specchietto retrovisore li ho visti allontanarsi insieme, giù, verso il limite del quartiere.