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Silvio 2, la vendetta

Creato il 27 ottobre 2012 da Albertocapece

Silvio 2, la vendettaLicia Satirico per il Simplicissimus

È stato il passo indietro “per amore dell’Italia” più breve della storia. C’era qualcosa di strano in quella lettera d’addio piena di parole altrui, nel plastificato messaggio televisivo così diverso dalla prima discesa in campo. Non era solo l’effetto botulinizzante dello sguardo muto di luce, della pelle tesa fino a rendere il discorso scabro come un paesaggio lunare. Qualcosa suonava falso al di là dell’aspetto innaturale che accompagnava l’accenno alle chimeriche primarie del Pdl, al di fuori del crine artificiale fiorito sull’estuario dei filler di collagene tra appelli al senso di responsabilità e lodi a Monti: le parole remissive di pacato congedo erano una studiata, rocambolesca messinscena, come preconizzato da Massimo Pizzoglio qui sul Simplicissimus.
Non abbiamo fatto in tempo a ponderare l’evoluzione del Pdl dai siliconi ai delfini che subito Berlusconi è tornato sui suoi passi, poche ore dopo la condanna per frode fiscale da parte dei soliti giudici milanesi. Giudici contro cui l’ex premier ha scagliato invano per anni, come anatemi, miriadi di leggi ad personam. Giudici minacciati fino ad oggi dal clamoroso ripensamento, motivato dall’esigenza di riformare la giustizia e dallo scandalo per una sentenza politica giunta al culmine di un’estenuante persecuzione giudiziaria. Legittimi impedimenti, lodialfani e prescrizioni brevi non hanno impedito di condannare Berlusconi per “un’evasione notevolissima” che denota una “propensione a delinquere”.

Forse stavolta Berlusconi ha persino ragione: per molti aspetti, diversi dal fatto documentato della frode, la sentenza del tribunale di Milano è un giudizio politico postumo. Abbiamo già sentito l’ex premier sostenere impunemente che evadere le tasse è giusto: parlando di se stesso, Berlusconi legittimava l’arroganza dell’oligarchia bulimica sdoganata dal suo partito dopo la prima Tangentopoli. Il neocondannato è stato il sintomo antropologico del malessere che ci ha consegnato ai tecnici, istituzionalizzando la corruzione, sovrapponendo in modo tragico privato e pubblico, cancellando il concetto di bene comune in nome dell’interesse personale. Non c’è fatto politico più grave, per un ex presidente del consiglio, che passare alla storia come un evasore fiscale sistematico, degno dell’interdizione dai pubblici uffici: il cancro che Silvio ha dichiarato di voler sconfiggere era Silvio stesso, incarnazione del complesso sistema illecito che ha ellenizzato l’Italia. Noi non possiamo dirci nemmeno interdetti: nulla è accaduto in questi giorni che già non sapessimo.
Se questo fosse un Paese diverso, la boutade del ripensamento – vero o presunto, con o senza conferenze stampa ma sempre con attacchi alla Costituzione – dovrebbe essere accompagnata dal celebre pernacchio di Eduardo. Il problema è che il virus berlusconiano ha cambiato per sempre il modo di legiferare di una nazione rassegnata al fatto inconfutabile che alcuni siano più uguali degli altri. Solo così si spiegano disegni di legge come quello anticorruzione o il salvaSallusti, che per graziare un famiglio editoriale – reo di esser prono prima che diffamatore – affonda feroce l’odiata libertà di stampa.

Non abbiamo anticorpi per reagire e nemmeno per capire ciò che ora si staglia davanti agli occhi con impressionante nitidezza: il finto ritiro dalla scena politica con scappellamento planetario della giustizia si inserisce tra una condanna certa e la probabile disfatta elettorale nel feudo siciliano. Lontani i tempi in cui la terra del sole regalava a Silvio 61 seggi su 61 alle politiche, oggi il Pdl isolano rischia una batosta storica nata dalla combinazione dell’alleanza tra gli ex amici e il fenomeno incontrollabile del grillismo di piazza. Vani sinora i tentativi di corteggiare il movimento 5Stelle: il partito delle libertà potrebbe naufragare proprio nella terra che ne ha determinato l’oscura genesi, rinnovando nel nuovo miracolo italiano la vecchia politica clientelare paleodemocristiana.
Prima di scomparire (almeno per il momento), Silvio punta alla legge sulle intercettazioni e alla vendetta della responsabilità civile dei giudici. Ha ragione Anna Lombroso: il Cavaliere deve tornare inesistente, invisibile, oscuro come i suoi Batman da 51.000 euro al mese. Considerarlo ancora un interlocutore attendibile è una forma di complicità senza attenuanti, senza intelligenza, senza lungimiranza. Facciamo calare il sipario per sempre e seppelliamolo con la nostra risata più amara: questo copione non ci piace.


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