Silvio candida il Direttorissimo e chiede a Cosentino di farsi da parte. I casalesi minacciano lo sciopero del voto. Anche Monti piange, sarà lo stress.

Creato il 21 gennaio 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Come la nostra amica casalinga di Abbiategrasso, traviata dalle soap, anche il Professore, ieri, ha dimostrato di avere un’anima. Tutta la profonda spiritualità della quale è in possesso, è emersa, come accade a tutti i nonni, quando ha nominato i nipoti. L’esecutivo di Mario Monti dimostra, così, di avere una sensibilità fuori dal comune, piangono tutti citando qualsiasi cosa: i sacrifici, la povertà, i malati di Sla, i terremotati dell’Aquila, gli alluvionati toscani, i pensionati al minimo costretti ad aprire il conto corrente in banca, i cassintegrati di Marchionne, gli esodati, che la Fornero non ha ancora capito quanti sono. Piangono per i manganelli dei poliziotti, finiti non si sa come sulle teste di diciottenni imperbi, spesso fracassandosi e per i No-Tav che passano notti intere ululando alla luna. Piangeva Silvio e piange Mario, le lacrime uniscono usi, costumi, popoli e intelligenze e offrono un’immagine di umanità che, alla fine, finisce sempre per colpire. Nel caso del Professore i nonni, in quello di Silvio, gli italiani reduci dal suo personale ventennio di comando. Non è un caso che chi dovrebbe piangere sul serio, non lo fa. È solo una stupida questione di dignità, anche se chi non piange, pur trovandosi nelle condizioni di farlo, non si candiderebbe mai, né alla Camera né al Senato. A proposito del Professore. È passata quasi sotto silenzio, la storia del salvataggio del Monte Paschi, costato agli italiani 4 miliardi e mezzo di euro. Ricapitalizzata, la banca vale oggi sul mercato 2 miliardi e mezzo di euro. Ma che cazzo di affari fa Monti? Non vi sorge il dubbio che al ministero dell’Economia starebbe meglio Mustafà di Porta Portese? Silvio, il competitor in rimonta, ha detto chiaro e tondo che il Pdl ha intrapreso una via giustizialista che non lo convince affatto. Ma che, per il bene del partito (e della sua personale rendita di posizione), si trova costretto a condividerla. Il messaggio nei confronti di Cosentino, Papa, Milanese, Dell’Utri, Scajola, Verdini e compagnia cantando, è chiarissimo. “Cari fratelli di Loggia, i tempi sono bui e l’unica soluzione per potervela cavare ancora è che io vinca le elezioni. Siccome quei bastardi senza gloria del Pd hanno buttato fuori dalle loro liste gli impresentabili, pur amandovi alla follia, non mi posso permettere di imbarcarvi in questa settima avventura. Anche il Padreterno, il settimo giorno si è riposato, io non posso ma, almeno, non complicatemi la vita. Per cui, candido Augusto Minzolini, illibato con un giglio, puro come una colomba bianca in crisi di piccione, e grande comunicatore del nulla, proprio come me”. In attesa della sentenza che potrebbe portarlo direttamente in galera, senza passare dal via, quel gran pezzo di brav’uomo di Marcello Dell’Utri, ha preso atto che perfino nel partito che ha contribuito a fondare, l’aria si è fatta pesante. Indeciso se trasferirsi definitivamente a Palermo, dove conta su amici potenti, o rileggersi per l’ennesima volta i diari tarocchi di Mussolini, Marcellino sta, come le foglie, sugli alberi d’autunno. 

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