Silvio forever. Barzellettieri e presunti statisti sempre al suo servizio.
Creato il 28 settembre 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Avevamo appena finito di parlare di Bossi come di un “politico” al quale l’imprenditore e, forse, prossimo collega di magna-magna Montezemolo muoveva critiche pesantissime sul suo modo di fare politica, che il vice di Odino in terra ha pensato di mostrarsi per quello che è, la versione padana del barzellettiere capo Berlusconi. Dopo aver ampiamente dimostrato di gradire molto il clima romano e di essere diventato un fan del ponentino, Bossi ha creduto fosse opportuno ricordare alla sua gente quello che pensa veramente della capitale d’Italia e di chi la abita. Il “porci” pronunciato dal leader della Lega durante una selezione di Miss Padania, se da un lato può essere capito (considerato il contesto da comizio) dall’altro rende il personaggio più squallido di quello che è anzi, lo fa assomigliare molto a quella volpe che non potendo arrivare a cogliere l’appetitoso acino d’uva posto troppo in alto, alla fine demorde dichiarando che “non è maturo”. Bossi, in fondo, vorrebbe che Roma fosse sua, che potesse girarla in lungo e in largo come fa a Bergamo, a Varese e a Milano, con il fazzoletto verde nel taschino della giacca stringendo mani e palpando culi. Ma Roma è una città più disincantata di quelle padane e per emergere devi essere almeno Papa o Berlusconi. Il Senatur ha perso l’ennesima occasione per tacere e l’Italia avuto l’ennesima riprova della congrega che la governa. Nonostante tutto, ci riesce più facile giustificare un Bossi sempre alla ricerca di consensi da bar che non Gianfranco Fini. Portiamo avanti un ragionamento che in parecchi, in questi giorni, stanno facendo un po’ a tutte le latitudini e su ogni fonte possibile di informazione. Alla fine di questo ragionamento noi facciano una domanda: perché? Vorremmo insomma sapere perché un uomo che occupa la terza carica dello Stato, che è stato sputtanato urbi et orbi dai giornali e dalle televisioni del presidente del consiglio, al quale è stata sviscerata la vita privata fino a coglierlo mentre acquista una cucina e fargliene una colpa, a cui ne hanno dette di tutti i colori e sparato clic fotografici in ogni occasione come fosse un Topolanek qualsiasi, a cui hanno distrutto l’immagine della compagna e della sua famiglia per farlo apparire un politico come tutti gli altri alla fine dica: “Se Berlusconi ci chiede il voto noi glielo diamo e andiamo avanti”. Cosa può muovere un uomo che ha rivolto al cofondatore del Pdl le accuse più pesanti, in onda e fuorionda, ad abbassare così la testa e a far finta che nulla sia successo? Tralasciamo Mirabello e l’appassionato discorso da leader che Fini ha tenuto in una storica domenica di settembre, e prendiamo ad esempio un solo passaggio di quello che ha detto nel suo monologo in rete di sabato scorso: “E sia ben chiaro – ha scandito Fini – personalmente non ho né denaro né barche, né ville intestate a società off-shore, a differenza di altri che hanno usato e usano queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse”. Considerato che non parlava né di Vendola né di Bersani, l’affondo deve essere inteso nei confronti del suo socio Berlusconi e di tutto quel magma che contraddistingue un impero economico costruito sulla teoria delle scatole cinesi. E, a memoria, quella delle società off-shore non è che una delle accuse (e neppure la più pesante), che Fini ha mosso al Nano². Come può, continuiamo a chiederci non trovando una risposta, la terza carica dello Stato votare e far votare a favore di un soggetto che ha stravolto la Costituzione, devastato il codice penale, corrotto tutto il corruttibile e provato a farlo con il restante, senza sentirsi una merda? E non regge neppure il discorso sulla governabilità o il presunto patto con gli elettori, visto che di quel patto Berlusconi ne ha fatto carta straccia da cui ha salvato solo i provvedimenti strettamente riguardanti se stesso, i suoi amici, la sua famiglia e qualche amante in vena di prove orali senza aver passato lo scritto. Eppure, alla fine, è quello che accadrà, non fosse altro che per dimostrare ai vescovi, ansiosi di continuare a mantenere i privilegi che questo governo ha concesso alla Chiesa in cambio del voto, di essere un buon padre di famiglia che tiene tanto alla “salute pubblica” e la mantenimento dello status quo. Con quale coraggio i finiani voteranno a favore di Berlusconi non lo sappiamo, quello di cui siamo certi è che nessuno di loro ha voglia di rivolgersi a un ufficio di lavoro interinale avendo sul curriculum una sola voce nella caselle delle esperienze lavorative pregresse: politico.
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