di Miller Canenero
Uno si chiede, molto a disagio: perché? Perché un regista impegnato come Roberto Faenza e gli autori de La Casta hanno concepito un documentario celebrativo proprio del capo supremo della casta e della personificazione vivente dell’antimateria culturale? Cosa li ha spinti? Forse la contaminazione della Maschera della Morte Rossa, la sindrome del principe Prospero, perché la pestilenza avanza e alla fine entra anche attraverso le porte sbarrate del castello?
Oppure, più materialisticamente, sanno che il pubblico tende a leggere libri che ha già letto, ascoltare musica già ascoltata, vedere film già visti, per cui non resterà insensibile al richiamo di una star mediatica che supera addirittura il papa nelle presenze sui media (e in effetti la sala era piuttosto piena)?
La seconda parte segna una virata parziale, col Gran Simpatico vecchio e incarognito, disturbato dalle interviste di un giovane Marco Travaglio, del solito Montanelli, Luttazzi, Camilleri, Eco, i processi, i lati oscuri del positivismo del fare, le ombre nere, cupe, l’attentato al corpo del sultano ferito, il finale con le escort, Ruby e le altre, le barzellette logore, le “figure di merda” coi capi di stato stranieri, le grottesche parate con Gheddafi, le grida nel vuoto, nel deserto della politica italiana. Aleggia un che di beckettiano, un senso di fallimento umano, di aridità, di minaccia. Ma sono impressionanti le omissioni: neanche una parola sulla P2, qualche accenno rarefatto alla smisurata disponibilità finanziaria degli inizi, ai tempi di Milano 2, alcuni riferimenti così sfumati da risultare balbettanti alla mafia, silenzio sulla scandalosa latitanza nella vicenda Fiat.
Nel complesso un documentario inutile, che finisce per essere vantaggioso per il soggetto, visto che sembra dimostrato che la sola esposizione mediatica, al di là della sua valenza positiva o negativa, contribuisce a renderlo un gigante pop. Un’operazione simile alla copertina della rivista Rolling Stone, Berlusconi “rockstar” dell’anno 2009 con servizi all’interno che lo criticano, o fingono di farlo. E infatti i vertici della RAI, dopo la spettacolare meschinità che li ha spinti a un blocco immediato del trailer, ingessati come sono nell’arcaico culto coreano del “caro leader”, hanno dato il via libera.
Gli stessi autori sembrano consapevoli della reale natura dell’operazione, perché nelle interviste si affrettano a dichiarare: “Piaccia o non piaccia nessuno è più rappresentativo dell’Italia di oggi quanto il Cavaliere”. Il massimo della rappresentatività, il “bottegaio italiano”. Nessuno come Berlusconi, secondo gli autori, sente “con la pancia” gli umori del popolo italiano, nessuno ne impersona i vizi , i difetti e chissà, anche i pregi.
Sarà.
Resta il fatto che, dopo la visione, sempre che si riesca a seguire l’incessante progressione di primi piani e sorrisi e interviste restando svegli sino alla fine, la domanda resta senza risposta: perché?