Anna Lombroso per il Simplicissimus
Era compunta la Barbara d’Urso, estasiata dalla fortuna che le toccava di intervistare il padrone, ma comunque meno prona di Vespa condannato dalla pluralità di padroni all’esigenza di lambirli e blandirli tutti. Lui all’inizio invece farfugliava, la voce roca, ma, come sempre gli succede, si è poi drogato di se stesso, acquistando via via la usuale sicumera, la tradizionale sfrontatezza, la solita tracotanza, addomesticate forse dal clima della giornata santa, tanto da assumere edificanti toni predicatori e note paterne ed ecumeniche.
Eh si ieri pomeriggio è andata in onda – inframezzata dalla pubblicità, salutata dal vecchio marpione con il grido “chapeau”, compiaciuto che l’emozione del suo profitto interrompesse l’onere di indottrinare il pubblico “semplice e familiare” in ascolto – l’anomalia italiana, in tutta la sua sconcertante e sfacciata potenza maligna e tossica.
Senza vergogna senza pudore senza ritegno il condannato in Cassazione e altrimenti imputato di innumerevoli processi per i più disparati reati contro lo Stato e la persona, non potendolo accusare per via dei troppi complici, di quelli contro la democrazia e l’interesse generale, ha disegnato la sua, anzi la loro prossima architettura istituzionale, riservando parole di paterna simpatia per il guappo al governo col quale intende mantenere i patti suggellati anche perché gli ricorda se stesso da giovane, stesso dinamismo, stessa ambizione, stessa indole alla propaganda, ha confessato con dolenti parole il disappunto per certe slealtà del Colle, si è lamentato della persecuzione cui è sottoposto dalla stampa e, ohibò, dalle televisioni, insomma ha sfoderato il suo repertorio a un tempo strafottente e vittimista che ci riserva da vent’anni, durante i quali – e ne farà un film – è sceso in campo per il nostro bene regalandoci 40 storiche riforme.
Olivetti mai avrebbe pensato di aver avuto tanto successo postumo e da attrezzi così imprevedibili. Dopo il Renzi che si è impegnato a tagliare in suo nome i superstipendi prima, per passare prevedibilmente alle mini remunerazioni, ecco l’ex cavaliere assumere toni profetici per illustrare con passione visionaria la forma antica e quasi confessionale del suo partito, una “comunità” di adepti impegnati al proselitismo tra i moderati schifati dalla cattiva politica sporca di Fiorito, ma anche una azienda di vendite piramidali: a ognuno dei reclutatori toccheranno almeno 400 nuovi addetti della politica da convincere, veri e propri “missionari della libertà”, come li ha definiti. Ma saranno aiutati dalla convinzione, da materiali di propaganda, dall’essersi schierati dalla parte giusta e ,a soprattutto dalla presenza continua in prima persona dell’instancabile leader, che non rinuncerà alla lotta malgrado gli obblighi imposto dall’ingiusta condanna che affronterà però con ilare e gioconda competenza, che lui la beneficenza ce l’ha nel Dna.
Ma gli applausi del pubblico largamente femminile, il suo preferito, si sono fatti scroscianti quando ha parlato con toni toccanti di Dudù, al cui affetto – è meglio di tanti umani – dedica la sua campagna elettorale animalier , destinata a toccare il cuore e a guidare le matite copiative dei “possessori” di almeno 7 milioni di cani e di 10 milioni di gatti, o di chi in ossequio alle larghe alleanze, li ha messi insieme, e che, se lo voteranno, avranno diritto a benefit e gratitudine a quattro e due zampe a cominciare dal veterinario gratuito.
Viene da dire povero Renzi, credeva di aver stretto un patto con un diavolo morente, invece ha dato nuova linfa vitale a un Highlander, pronto a portargli via i consensi di chi preferisce l’originale a una pallida imitazione, il cialtrone marchiato doc alla giovanile parodia. Ancorché condannato, ancorché incandidabile, ancorché vecchio, il modello si presenta irripetibile e invincibile, con riforme che prevedono un leader, lui, inamovibile, un premier, lui, con pieni poteri, un presidente della Repubblica, sempre lui, rafforzato fino a coincidere con il presidente del consiglio, ancora lui, dedito a rimuovere i futili e molesti ostacoli frapposti dalla democrazia alla sua azione, alla sua iniziativa, alla sua potenza. Per il nostro bene, che meritiamo se, come ha sottolineato, impariamo a votare bene. Verrebbe da dargli ragione, ma intorno di bene da votare non si vede traccia.