A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta a Roma
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L’attrazione sessuale e l’innamoramento sono il principale strumento di evoluzione della specie. Tutte le possibilità di tramandare il proprio codice genetico sono infatti affidate ad una selezione naturale “preventiva” nella scelta del partner, con lo scopo di scegliere “il migliore” e quindi quello che garantirà un patrimonio genetico più favorevole per la prole.
Questo istinto ha ovviamente condotto le femmine dei mammiferi a scegliere il capobranco, così da garantire un corredo migliore e con maggiori probabilità di sopravvivenza rispetto agli altri. I piccoli sarebbero stati ottimi cacciatori e di certo sarebbero stati più forti e resistenti di fronte alle avversità.
Tuttavia se questo era valido in una società di cacciatori-raccoglitori, lo diviene sempre di meno in una organizzazione sociale basata sulla stanzialità: cambiano infatti le caratteristiche di selezione dell’uomo ideale che non è più il cacciatore perfetto, ma, per esempio, il coltivatore più intelligente, quello che sa sfruttare meglio il terreno, o l’allevatore che ha il gregge più numeroso.
Cambia quindi la società e con essa le caratteristiche del maschio ideale, ma l’istinto resta lo stesso; le donne continuano ad innamorarsi del capobranco che oggi però ha altre caratteristiche distintive: una bella macchina, un vestito alla moda, Iphone, una buona posizione sociale unita spesso ad un cospicuo conto in banca.
Che il fascino del giovane ragazzo della porta accanto stile Hugh Grant in Notting Hill non abbia alcuna presa sulle giovani donne? E’ probabile, o comunque possibile per alcune tipologie di donne
Quando infatti conosciamo un uomo di successo, che sia il maestro di sci, il personal trainer, o il manager, è facilissimo cadere nella trappola dell’esemplare di “maschio vincente” che è determinato, forte e di certo ottimo padre nell’eventualità.
Quello con cui però non facciamo i conti è il nostro passato, i copioni appresi e i vuoti emotivi che cerchiamo di riempire.
Sappiamo infatti benissimo che, per esempio, il lavoro del personal trainer è di motivarci, di spronarci, di credere in noi nonostante quello che noi donne pensiamo di noi stesse. Questo porta a convincerci che lui ci vede e ci apprezza per quello che siamo veramente, dimenticandoci che è il suo lavoro. “Qualcuno che finalmente crede in me, mi stimola a dare sempre il meglio e mi apprezza”: ed ecco che scambiamo e trasformiamo interesse lavorativo in amore. Cosa è successo in realtà? Semplice il nostro insegnante sta rispondendo ad un nostro bisogno atavico di essere accettate, comprese e accudite: insomma, si sta prendendo cura di noi, ma quello che a noi sfugge è in realtà un aspetto fondamentale, ovvero, è il suo lavoro!
Stessa dinamica vale nel rapporto con il manager di successo: proiettiamo su di lui una serie di bisogni, da quello di realizzazione personale a quello di autoefficacia e poco importa se gli input che riceviamo sono negativi: lui è il nostro Sé Ideale e non abbiamo la minima intenzione di ricrederci.
Il fatto è che spesso si tratta di amori, o meglio infatuazioni a senso unico in cui il principe azzurro non ricambia affatto. Perché allora intestardirsi? Quali sono la ragioni psicologiche di queste scelte?
Anzitutto è bene considerare come la scelta del compagno sia determinata da moltissimi fattori, alcuni consapevoli e lineari, altri sotterranei ed oscuri. Proiettiamo infatti sull’altro, come abbiamo detto, una gamma di aspettative, una mole enorme di bisogni insoddisfatti e diverse parti di sé, con il risultato che assegnamo all’altro compiti che non gli competono e che non è in grado di assolvere, oltre a caratteristiche che non gli appartengono. La paura di assumersi la responsabilità di una relazione, un’autostima vacillante, la deprivazione emotiva sperimentata nell’infanzia possono creare un terreno assai fertile in cui coltivare la fantasia del principe azzurro. A ciò va aggiunta spesso la paura del quotidiano, per cui ci si rifugia nella fantasia e in relazioni impossibili in quanto non ci si sente all’altezza di poter iniziare e proseguire una relazione. Viene infatti messo in atto un copione di fallimento emotivo ben noto sin dall’infanzia: tipicamente si tratta di relazioni fugaci che iniziano spesso con un colpo di fulmine “unilaterale” e che poi non vengono vissute a pieno proprio perché prive di un reale interesse dall’altra parte, confermando la profonda sensazione di inadeguatezza con cui la donna si approccia.
Vi è poi una scarsa indipendenza psicologica, per cui ci si avvicina all’uomo di successo o ad un “mentore” per colmare la scarsa fiducia in sé e vivere di luce riflessa. In questa forma vampiresca, difficilmente la donna riesce a fare a meno degli stimoli che pervengono, seppur falsati, dalla relazione. Non vuole rinunciare a quella forma di successo raggiunto per interposta persona e tantomeno al senso di sicurezza che artificialmente ne deriva.
Infine vi è il gusto della conquista: l’uomo di successo è l’oggetto del desiderio di molte e riuscirlo a conquistare significa essere la “prescelta”. Il proprio Sé ideale acquisisce tutta una serie di caratteristiche che determinano una frattura netta tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere e si è arrivati ad essere, con una conseguente crisi nel momento in cui ci si rende conto che la relazione non funziona.
Tuttavia è chiaro come una parte di responsabilità sia da attribuire anche all’altro soggetto che, contribuisce scegliendo partner che ben si adattano ad un ego spesso ipertrofico. Spesso si accompagna infatti a ragazze passive, cosicchè non costituiscano un intralcio alla manifestazione del proprio Io smisurato; oppure a donne affascinanti e vincenti che confermano ancora una volta che lui può avere il meglio perché “è il meglio”.
Cosa si può fare dunque di fronte a simili relazioni o a binari che immancabilmente ci portano a scegliere il “capobranco”?
Il motto “va dove ti porta il cuore” senza avere una minima conoscenza di Sé, può portare in amore ad una vera e propria debacle. Possiamo infatti ritrovarci a fare scelte distruttive se non siamo consapevoli dei nostri copioni, delle nostre trappole emotive e cognitive, finendo col riproporre meccanismi disfunzionali e con il forzare gli altri in ruoli che non sono di loro competenza.
Cosa fare?
1) INVESTI SU TE STESSO
Quando stiamo bene con noi stessi e siamo sereni, abbiamo autostima ed energia a sufficienza per intraprendere una relazione più gratificante. Spesso ci si aggrappa ad una relazione insoddisfacente in modo morboso pur di non guardare cosa c’è che non va in noi
2) EVITA SCELTE IMPULSIVE
Di solito questo tipo di amori, come abbiamo detto, iniziano con un colpo di fulmine, perdendo completamente di vista la persona che abbiamo di fronte
3) RIPROGRAMMATI
Per trovare la relazione che cerchiamo è necessario allontanarsi dagli influssi collettivi, mode e status symbol che creano bisogni fittizi e uguali per tutti. E’ necessario cambiare il “polo della propria calamita psichica”, rendendola più vicina a ciò che siamo e non a ciò che vorremmo essere.
Per farlo è necessario esaminare il proprio passato, gli attori delle relazioni, le dinamiche che si son presentate sempre uguali a se stesse, individuando le caratteristiche e chiedendosi quale vuoto emotivo sono andate a colmare.
E’ un lavoro duro, difficile, emotivamente coinvolgente, ma necessario per capire il meccanismo disfunzionale che sta alla base delle proprie scelte affettive.
Tuttavia non sempre si è in grado di fare questo viaggio a ritroso da soli, o meglio non sempre si trova il coraggio o la forza; per questo motivo l’aiuto di un esperto può a volte essere illuminante per affrontare e capire ciò che di cui spesso vediamo avvertiamo solo le conseguenze.
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