A Venezia bisogna andare almeno una volta nella vita. Preferibilmente in inverno, per il Carnevale. Ma anche per la Mostra del Cinema o per la Biennale. O semplicemente per un week end romantico. A Venezia si ha spesso voglia di ritornare almeno un’altra volta nella vita. Fino a che non arriva il momento in cui ci accorgiamo che la Venezia che avevamo nel cuore (quella che ci ricordiamo da quando eravamo bambine o adolescenti, quella romantica del primo week end trascorso con la persona amata, quella magica delle notti nebbiose piene di damine ridenti e tabarri neri) non esiste più.
E’ scomparsa e scivolata nel baratro, sotto orde di turisti scaricati da traghetti, pulman e gigantesche navi da crociera; seppellita da quintali di paccottiglia cinese venduta dove un tempo scintillava il vetro di Murano; ingombra di migliaia di tavolini all’aperto dove si consumano a caro prezzo pizza napoletana e ragù alla bolognese; deturpata da rumori e odori che non le appartengono. Perfino i piccioni non sono più quelli di una volta, sono grassi e svogliati e per farli levare in volo ci devono piombare in mezzo gruppi di ragazzini scalmanati.
Dove sono finiti i bacari, i cicheti, gli uomini avvolti nei tabarri, i canali silenziosi dove riposano vecchi palazzi decadenti, i giardini segreti? Ci sono ancora ma ben nascosti, per sfuggire al degrado e alla barbarie.
Ecco allora una sinfonia per Venezia (da bambina adoravo i Rondò Veneziano e ogni anno trovavo un loro disco sotto l’albero di Natale) e un malinconico addio: addio bella Serenissima, ti abbandono in balia dei Gruppi Vacanze Pechino, che vederti così malridotta mi fa troppo male al cuore!
Chissà magari prima o poi nella vita un ballo in maschera mi farà tornare nei tuoi Sestieri…