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Sinonimi e contrari

Creato il 18 novembre 2012 da Bernardrieux @pierrebarilli1
SINONIMI E CONTRARI Il calo di intenzioni di voto del Popolo della Libertà, la progressiva insignificanza dell’Udc, lo sfaldamento dell’Italia dei Valori e la frantumazione dell’elettorato in mille piccoli partiti rendono il panorama politico insieme incerto ed allarmante.  L’unica apparente certezza è la promessa vittoria del Partito Democratico e del movimento ad esso alleato, Sinistra e Libertà: ma è ben poco. Infatti questa coalizione, l’esercito più grande in campo, non si sa contro che cosa o per che cosa intenda combattere. Fuor di metafora, se intende continuare pedissequamente la politica di Monti o se intende dare una sterzata in un’altra direzione. È comprensibile che al riguardo il partito di Bersani non voglia essere chiaro. La recessione è gravissima e attualmente non se ne vede la fine; il debito pubblico continua ad aumentare; il governo Monti ha operato – eccome – sul versante delle tasse, ma non ha realizzato né i tagli promessi né le necessarie riforme, a parte quella delle pensioni. L’idea di continuarne la politica non è che sia molto popolare. D’altra parte può darsi che non ci sia alternativa: e allora, pensa il Pd, meglio rimanere nell’ambiguità: solo che nell’ambiguità c’è anche l’Italia, c’è anche il nostro futuro. In questo panorama nasce il movimento, il rassemblement, l’alleanza o quello che sarà, chiamato “Italia Futura”, di Luca Cordero di Montezemolo.  Il suo programma sembra essere “Monti forever”.  Dunque è un partito miope. Perché indica una strada che fino ad ora non ha condotto a nulla di buono(vedi allegati fondo pagina).   L’attuale governo ha seguito le indicazioni dell’Europa ed è riuscito a galleggiare ma come una nave che continui ad imbarcare più acqua di quanta ne pompi fuori. Infatti nessun parametro è migliorato: non il debito pubblico, non il pil, non le esportazioni, non l’occupazione, nulla di nulla. Siamo riusciti a non far crollare l’euro e l’Italia stessa, fino ad ora, ma non siamo riusciti a farla ripartire, in modo che si produca tanta ricchezza da cominciare a risalire la china, piuttosto che continuare a discenderla, giorno dopo giorno. E la cosa non riguarda solo noi. La Grecia, costantemente sul bordo della rivoluzione, non solo non riesce a ricuperare, ma non riesce neppure a mantenere gli impegni assunti e vive di sussidi dell’ultimo momento. La Spagna ha già avuto sommosse di piazza e la stessa Francia ha un debito pubblico di 1.700 miliardi di euro (85% del pil), somma non tanto lontana da quei 2.000 miliardi che ci hanno resi per anni “il malato d’Europa”. E, quel ch’è peggio, questo il debito francese va aumentando velocemente: la politica socialista non è di tale natura da diminuire l’impegno finanziario dello Stato e Parigi non ha affatto di che star tranquilla. Insomma, l’Europa non corre verso la guarigione, corre verso il peggioramento. E dal momento che la Terra continua a girare, dal momento che la storia non si ferma, la situazione attuale non rappresenta affatto la fine della vicenda.  Solo pochi giorni fa il grande politologo George Friedman scriveva serenamente, come fosse la più piatta evidenza, che l’Unione Europea e l’euro sono destinati a morire. Tutti gli Stati, diceva, torneranno all’indipendenza monetaria e alla competizione commerciale di prima. Probabilmente faceva un ragionamento del tutto elementare: se un aereo continua a perdere quota, è fatale che sbatta contro il terreno. Sbagliava? E allora si comprende che l’unico programma che potrebbe promettere un vero futuro sarebbe quello di un partito che rivoluzioni tutto, a colpi d’accetta. Il fisco, la giustizia, il lavoro, la sanità, l’Amministrazione, con l’abolizione di province e regioni, diminuendo la spesa pubblica più o meno della metà. E per quanto riguarda la moneta, ottenendo dall’Europa che si ponga fine all’euro, tutti d’accordo. Diversamente l’Italia ne uscirebbe unilateralmente, a costo di dichiarare il fallimento. Ma forse siamo troppo pessimisti. Vista la pettinatura di Luca Cordero di Montezemolo, forse ci salverà Italia Futura.
allegato:

Il declino dell’Italia (in 3 grafici)

di Ugo Arrigo Alcuni studenti mi hanno chiesto quale variabile potrebbe in maniera più sintetica ed efficace rappresentare il declino economico dell’Italia dell’ultimo decennio-quindicennio. La miglior ‘fotografia’ possibile del declino è a mio avviso rappresentata dall’indice del  Pil pro capite degli italiani in standard di potere d’acquisto (PPS) calcolato ponendo sempre uguale a 100 in ogni anno lo stesso dato per l’UE a 27 paesi. Si ottiene in tal modo una linea che discende rapidamente e continuamente nel tempo senza accenno alcuno ad un’inversione di tendenza, come è possibile vedere dal grafico sottostante.
Pil pro capite in SPA  (Indici UE27=100)
A metà anni ’90 il Pil pro capite dell’Italia in PPS si trovava 21 punti percentuali al di sopra del valore medio degli attuali 27 paesi che compongono l’Unione e persino 6 punti sopra il valore dei paesi UE-15 pre allargamento. Nel 2003 il dato italiano scendeva al di sotto del dato medio UE-15 e alla fine del decennio azzerava completamente il vantaggio rispetto all’UE-27.
Accanto alla ‘foto’ del declino relativo dell’Italia è utile  osservare anche le differenti dinamiche del Pil nel nostro paese e nell’UE che lo spiegano. Il Grafico seguente mostra i due indici del Pil reale dal 1995.
Pil Italia e UE-27 Italia esclusa  (Indici 1995=100)
Dal 1995 l’Italia è sempre cresciuta di meno del resto dell’UE (tranne nel 1999-2000): dal 1995 al 2007, ultimo anno per noi pre recessione, avevamo cumulato una crescita complessiva del 20% (contro il 38% del resto dell’Unione) ma circa metà di essa è andata perduta nel biennio 2008-9 e il piccolo recupero del 2010-11 è stato interamente bruciato dalla recessione fiscale italiana del 2012. Risultato? Mentre nel 2012 il resto dell’Unione (nonostante comprenda tutti i paesi problematici tranne noi) ha recuperato integralmente il livello di Pil del 2007 noi non abbiamo recuperato assolutamente nulla e il nostro Pil è ritornato quest’anno allo stesso livello del 2001, indietro di tre legislature politiche.
Ma c’è di peggio. Infatti in questo periodo la popolazione italiana è  cresciuta e in conseguenza i dati relativi al Pil pro capite segnalano un arretramento più consistente.
Pil totale e pro capite Italia e UE-27 Italia esclusa  (Indici 1995=100)
In termini pro capite il Pil dell’Italia risulta ritornato nel 2012 allo stesso livello del 1998, l’anno in cui l’Italia fu ammessa all’euro. So di regalare un argomento ai grillini ma il grafico ci dice che in tutto il periodo in cui abbiamo avuto l’euro non vi è stato alcun miglioramento nel pil pro capite e poiché nel frattempo la popolazione italiana è divenuta mediamente più anziana e ha in conseguenza più bisogni da soddisfare per garantire un dato livello di benessere, possiamo ragionevolmente credere che a fronte di un eguale livello di Pil reale pro capite il benessere medio attuale sia inferiore rispetto a quello del 1998.
Ovviamente una concomitanza non è una causalità e l’euro c’entra davvero poco col declino dell’Italia. Quando fummo ammessi all’euro avevamo un disavanzo pubblico inferiore al 3% del Pil e grazie all’introduzione dell’euro e alla ridenominazione del debito pubblico italiano abbiamo risparmiato sino a un massimo di 7 punti di Pil all’anno nella spesa per interessi. Con quel risparmio si sarebbe potuto portare il bilancio in pareggio, arrestando la crescita del debito  in valore assoluto e accelerandone la riduzione in rapporto al Pil. Si sarebbe anche potuta ridurre la pressione fiscale sino a un massimo di quattro punti percentuali. Se avessimo fatto queste poche cose oggi non avremmo nessun declino e nessun problema di finanza pubblica. Abbiamo scelto di non farle ma siamo stati noi, chi ci ha governato. Non ce lo ha chiesto l’euro o chi precedette Angela Merkel.
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