Il calo di intenzioni di voto del Popolo della Libertà,
la progressiva
insignificanza dell’Udc, lo sfaldamento dell’Italia dei Valori e
la
frantumazione dell’elettorato in mille piccoli partiti rendono
il panorama
politico insieme incerto ed allarmante.
L’unica apparente
certezza è la
promessa vittoria del
Partito Democratico e del movimento ad
esso alleato,
Sinistra e Libertà: ma è ben poco. Infatti questa coalizione,
l’esercito più
grande in campo, non si sa contro che cosa o per che cosa
intenda combattere.
Fuor di metafora, se intende continuare pedissequamente la
politica di Monti o
se intende dare una sterzata in un’altra direzione.
È comprensibile che al riguardo il partito di Bersani non
voglia essere chiaro.
La recessione è gravissima e attualmente non se ne vede la fine;
il debito
pubblico continua ad aumentare; il
governo Monti ha operato –
eccome – sul
versante delle tasse, ma non ha realizzato né i tagli promessi
né le necessarie
riforme, a parte quella delle pensioni.
L’idea di continuarne la
politica non è
che sia molto popolare. D’altra parte può darsi che non ci sia
alternativa: e
allora, pensa il Pd, meglio rimanere nell’ambiguità: solo che
nell’ambiguità
c’è anche l’Italia, c’è anche il nostro futuro.
In questo panorama nasce il movimento, il rassemblement,
l’alleanza o
quello che sarà, chiamato “Italia Futura”, di Luca Cordero di
Montezemolo.
Il
suo programma sembra essere “Monti forever”.
Dunque è un partito
miope. Perché indica
una strada che fino ad ora non ha condotto a nulla di buono(
vedi allegati fondo pagina).
L’attuale governo
ha seguito le indicazioni dell’Europa ed è riuscito a
galleggiare ma come una
nave che continui ad imbarcare più acqua di quanta ne pompi
fuori. Infatti nessun
parametro è migliorato: non il debito pubblico, non il pil, non
le
esportazioni, non l’occupazione, nulla di nulla. Siamo riusciti
a non far
crollare l’euro e l’Italia stessa, fino ad ora, ma non siamo
riusciti a farla
ripartire, in modo che si produca tanta ricchezza da cominciare
a risalire la
china, piuttosto che continuare a discenderla, giorno dopo
giorno. E la cosa
non riguarda solo noi. La Grecia, costantemente sul bordo della
rivoluzione,
non solo non riesce a ricuperare, ma non riesce neppure a
mantenere gli impegni
assunti e vive di sussidi dell’ultimo momento. La Spagna ha già
avuto sommosse
di piazza e la stessa Francia ha un debito pubblico di 1.700
miliardi di euro
(85% del pil), somma non tanto lontana da quei 2.000 miliardi
che ci hanno resi
per anni “il malato d’Europa”. E, quel ch’è peggio, questo il
debito francese va
aumentando velocemente: la politica socialista non è di tale
natura da
diminuire l’impegno finanziario dello Stato e Parigi non ha
affatto di che star
tranquilla.
Insomma, l’Europa non corre verso la guarigione, corre
verso il peggioramento.
E dal momento che la Terra continua a girare, dal momento che la
storia non si
ferma, la situazione attuale non rappresenta affatto la fine
della vicenda.
Solo
pochi giorni fa il grande politologo George Friedman scriveva
serenamente, come
fosse la più piatta evidenza, che l’Unione Europea e l’euro sono
destinati a
morire. Tutti gli Stati, diceva, torneranno all’indipendenza
monetaria e alla
competizione commerciale di prima. Probabilmente faceva un
ragionamento del
tutto elementare: se un aereo continua a perdere quota, è fatale
che sbatta
contro il terreno. Sbagliava?
E
allora si
comprende che l’unico programma che potrebbe promettere un vero
futuro sarebbe
quello di un partito che rivoluzioni tutto, a colpi d’accetta.
Il fisco, la
giustizia, il lavoro, la sanità, l’Amministrazione, con
l’abolizione di
province e regioni, diminuendo la spesa pubblica più o meno
della metà. E per
quanto riguarda la moneta, ottenendo dall’Europa che si ponga
fine all’euro,
tutti d’accordo. Diversamente l’Italia ne uscirebbe
unilateralmente, a costo di
dichiarare il fallimento.
Ma
forse siamo
troppo pessimisti. Vista la pettinatura di Luca Cordero di
Montezemolo, forse
ci salverà Italia Futura.
allegato:
Il declino dell’Italia (in 3 grafici)
di Ugo
Arrigo
Alcuni studenti mi hanno chiesto quale variabile potrebbe in maniera più
sintetica ed efficace rappresentare il declino economico dell’Italia dell’ultimo
decennio-quindicennio. La miglior ‘fotografia’ possibile del declino è a mio
avviso rappresentata dall’indice del Pil pro capite degli italiani in
standard di potere d’acquisto (PPS) calcolato ponendo sempre uguale a 100 in
ogni anno lo stesso dato per l’UE a 27 paesi. Si ottiene in tal modo una linea
che discende rapidamente e continuamente nel tempo senza accenno alcuno ad
un’inversione di tendenza, come è possibile vedere dal grafico sottostante.
Pil pro capite in SPA (Indici UE27=100)
A metà anni ’90 il Pil pro capite dell’Italia in PPS si trovava 21 punti
percentuali al di sopra del valore medio degli attuali 27 paesi che compongono
l’Unione e persino 6 punti sopra il valore dei paesi UE-15 pre allargamento. Nel
2003 il dato italiano scendeva al di sotto del dato medio UE-15 e alla fine del
decennio azzerava completamente il vantaggio rispetto all’UE-27.
Accanto alla ‘foto’ del declino relativo dell’Italia è utile osservare
anche le differenti dinamiche del Pil nel nostro paese e nell’UE che lo
spiegano. Il Grafico seguente mostra i due indici del Pil reale dal 1995.
Pil Italia e UE-27 Italia esclusa (Indici
1995=100)
Dal 1995 l’Italia è sempre cresciuta di meno del resto dell’UE (tranne nel
1999-2000): dal 1995 al 2007, ultimo anno per noi pre recessione, avevamo
cumulato una crescita complessiva del 20% (contro il 38% del resto dell’Unione)
ma circa metà di essa è andata perduta nel biennio 2008-9 e il piccolo recupero
del 2010-11 è stato interamente bruciato dalla recessione fiscale italiana del
2012. Risultato? Mentre nel 2012 il resto dell’Unione (nonostante comprenda
tutti i paesi problematici tranne noi) ha recuperato integralmente il livello di
Pil del 2007 noi non abbiamo recuperato assolutamente nulla e il nostro Pil è
ritornato quest’anno allo stesso livello del 2001, indietro di tre legislature
politiche.
Ma c’è di peggio. Infatti in questo periodo la popolazione italiana è
cresciuta e in conseguenza i dati relativi al Pil pro capite segnalano un
arretramento più consistente.
Pil totale e pro capite Italia e UE-27 Italia esclusa (Indici
1995=100)
In termini pro capite il Pil dell’Italia risulta ritornato nel 2012 allo
stesso livello del 1998, l’anno in cui l’Italia fu ammessa all’euro. So di
regalare un argomento ai grillini ma il grafico ci dice che in tutto il periodo
in cui abbiamo avuto l’euro non vi è stato alcun miglioramento nel pil pro
capite e poiché nel frattempo la popolazione italiana è divenuta mediamente più
anziana e ha in conseguenza più bisogni da soddisfare per garantire un dato
livello di benessere, possiamo ragionevolmente credere che a fronte di un eguale
livello di Pil reale pro capite il benessere medio attuale sia inferiore
rispetto a quello del 1998.
Ovviamente una concomitanza non è una causalità e l’euro c’entra davvero poco
col declino dell’Italia. Quando fummo ammessi all’euro avevamo un disavanzo
pubblico inferiore al 3% del Pil e grazie all’introduzione dell’euro e alla
ridenominazione del debito pubblico italiano abbiamo risparmiato sino a un
massimo di 7 punti di Pil all’anno nella spesa per interessi. Con quel risparmio
si sarebbe potuto portare il bilancio in pareggio, arrestando la crescita del
debito in valore assoluto e accelerandone la riduzione in rapporto al Pil.
Si sarebbe anche potuta ridurre la pressione fiscale sino a un massimo di
quattro punti percentuali. Se avessimo fatto queste poche cose oggi non avremmo
nessun declino e nessun problema di finanza pubblica. Abbiamo scelto di non
farle ma siamo stati noi, chi ci ha governato. Non ce lo ha chiesto l’euro o chi
precedette Angela Merkel.
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