“La disperazione se ne frega delle vacanze e qualche volta anche della morte”. Con queste parole il giovane Alì ha commentato la notizia delle operazioni di soccorso del 24 e 25 aprile ad Augusta.
Una frase che ti spiazza, il verso principale di una canzone mai scritta ma sputata con la rabbia tipica di un ragazzo non ancora diventato uomo. La sua è una storia come tante, il suo viaggio è figlio della primavera araba e ancora oggi non accenna a concludersi . Ovviamente ha fatto tappa in Sicilia, in un luogo non troppo lontano da quella che molti di noi chiamano casa. Per ovvi motivi non possiamo essere troppo espliciti, la sua permanenza in Italia, se pur di passaggio, potrebbe creargli non pochi problemi, ed in fondo riteniamo che di problemi ne abbia avuti già troppi.
Vogliamo tuttavia fargli qualche domanda, anche solo per avere una chiave di lettura diversa del grande fenomeno migratorio degli ultimi anni. Ecco la sua storia:
“Sono giunto in Italia con un barcone in uno dei tanti sbarchi di due anni fa. A differenza di molti siamo riusciti a mettere piede a terra da soli, eravamo arrivati a Lampedusa e lì abbiamo trovato la polizia pronta a fermarci. Inizialmente non ho ben capito cosa stesse succedendo, molti miei compagni di viaggio sono scappati convinti di poter raggiungere con mezzi diversi altri paesi, Germania e Francia tra tutti. Solo dopo abbiamo saputo che Lampedusa era solo un’isola, l’Italia era ancora troppo lontana. Dopo le formalità di rito siamo stati portati nel centro d’accoglienza dell’isola. Sono stato bene e posso dire di non aver avuto grossi problemi. Sono riuscito a scappare con l’aiuto di un gruppo di miei connazionali e sono arrivato (non ci dice come) in Sicilia”. A questo punto il suo tono si fa più cupo, quasi ai limiti del pianto “in Sicilia ho fatto di tutto, sono stato sfruttato e ho commesso qualche reato. Ovviamente non potevo denunciare, io non potevo stare lì”.
Il resto ve lo risparmiamo, le discriminazioni, le violenze e l’indifferenza della gente sono chiaramente leggibili negli occhi di Alì, ma il filtro insensibile di un monitor renderebbe il tutto un qualcosa di “già sentito o già letto”. “Dopo la Sicilia sono andato da amici a Roma, poi Milano e infine Torino, da qui spero di raggiungere la mia famiglia in Francia, a Nantes per l’esattezza”. Decidiamo quindi di fargli la domanda più ovvia, e in fondo più stupida, che si possa fare a un giovane migrante, la domanda per eccellenza, quella che molti di noi hanno sognato di fare almeno una volta: perchè lo fate, perché venite in Italia? La risposta è spiazzante:“Tu per quale motivo lasceresti la tua casa? L’Italia è per molti di noi solo una tappa di passaggio, spesso l’obiettivo è ricongiungersi al resto della famiglia o cercare di offrire condizioni di vita migliori a chi è dovuto restare in patria. Mi chiedi il motivo, ti rispondo che in fondo il motivo reale è l’amore.” Lo saluto e gli auguro buon viaggio.