“Sire la maggioranza non c’è più”. E Silvio sbottò nel pianto dei traditi
Creato il 05 novembre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Come effettivamente siano andate le cose a Cannes lo sanno solo Silvio e la sua interprete. L’Italia è commissariata? No, solo monitorata. Siamo sotto tutela? Macchè, lo abbiamo chiesto noi di essere controllati a vista per evitare pericolosi rilassamenti. Quali che siano i fatti, il G20 francese ha confermato che a livello internazionale non siamo più nulla, non contiamo una mazza e ci considerano bambini un po’ viziati e parecchio deficienti ai quali non regalare la Playstation a Natale. Silvio se n’è accorto e ha fatto lo gnorri, continuando a gigioneggiare con i portaborse ché tanto i leader non se lo filano più. Nerone sta continuando a cantare la sua ultima melodia, ma la fregatura è che Roma è bruciata e sono rimaste solo le ceneri. Per l’occasione Silvio aveva avuto l’idea di riesumare Guido Bertolaso, guarito dalla cervicale, convinto che avrebbe tolto quanto prima le macerie di quello che fu il suo impero, ma quando ha saputo che l’ex capo della Protezione Civile era in contatto con i cinesi per vendergli i resti ancora fumanti del Colosseo, ha preferito soprassedere. Al rientro da Cannes, sprofondato nella poltrona preferita posta in mezzo al salotto buono di Palazzo Grazioli, ancora stremato dal lungo colloquio con Obama e Sarkozy, Silvio si è trovato di fronte i Quattro dell’Apocalisse che, a testa bassa e con un mazzo di fogli pieni di numeri in mano, gli hanno detto: “Sire, non abbiamo più una maggioranza”. E furono pianti e lacrime e imprecazioni e sospiri e disperazioni fino all’urlo conclusivo di una mattinata di un giorno da cani: “Non è possibile, sono uomini miei, li ho creati io, dipendono da me, non erano un cazzo, erano schiavi della loro pochezza e oggi sono liberi servi. Non è possibile che mi tradiscano. Li chiamo uno per uno e voglio sentire dalla loro voce che non mi voteranno più”. Ha tintinnato il campanellino d’argento per chiamare Alfredo che, avendo origliato da dietro la porta, si è presentato già con il cellulare portoricano in mano: non si sa mai. “Calmati nostro signore e padrone – ha implorato Verdini – ragioniamo”. Riacquistato in un amen il bene della ragione (quello dell’intelletto veleggia verso altri lidi), Silvio si è seduto e con un ampio gesto della mano, ha dato il permesso a Denis di proferire parole in sua presenza. Non essendo entrati in possesso né della sceneggiatura né dei dialoghi del capitolo finale della saga “Silvio forever and ever”, possiamo solo riassumere, usando parole nostre, quella che è stata la strategia dei pasdaran più pasdaran del Capo. Dunque. Le soluzioni, arrivati a questo punto, sono due. La prima è che Silvio vada avanti per la sua strada, non si dimetta e lasci alle Camere la possibilità di sfiduciarlo o meno. È la soluzione preferita dal combattente Silvio che ha però la pericolosa controindicazione che lo potrebbe vedere trasformarsi in reduce. Una bocciatura da parte delle Camere porterebbe alle inevitabili dimissioni e toccherebbe al Capo dello Stato mettere in piedi soluzioni diverse e alternative. Silvio, insomma, sarebbe fuori dal gioco e, conoscendo la coerenza dei suoi, non si potrebbe meravigliare di nulla se appoggiassero in blocco un nuovo esecutivo non a maggioranza Pdl. Il rischio è quello di uscire fuori definitivamente dalla scena politica italiana e questo Silvio non può proprio permetterselo. La seconda è quella auspicata da Gianni Letta, Denis Verdini, Angelino Alfano e da Paolino Pa Bonaiuti: dimettersi senza passare per il Parlamento e guidare da regista occulto un governo Letta o Monti. In questo modo Silvio potrebbe giocare su una maggioranza allargata all’Udc e al Terzo Polo i quali hanno fatto sapere che, fuori Silvio, il resto andrebbe benissimo qualunque esso sia. Sembra di assistere alla fine del secondo governo Prodi, quando Romano, per coerenza politica e correttezza istituzionale, preferì andare alla conta parlamentare e stanare i nemici, piuttosto che dimettersi e tentare di rimettere in piedi un governo a sua guida del quale sarebbe stato vittima sacrificale. Il fatto è che le tanto sventolate elezioni anticipate non fanno comodo a nessuno, tanto meno a Silvio che, sondaggi alla mano, ha scoperto che il Pdl ne uscirebbe distrutto. Le dimissioni, pertanto, avrebbero lo scopo di dar vita a un nuovo esecutivo, sempre a maggioranza Pdl, che consenta a Berlusconi e ai suoi di riorganizzarsi in vista del 2013. Così articolata, la crisi di governo non potrebbe che portargli benefici ma Silvio, alla sola parola “dimissioni” viene colto da un attacco di orticaria che neppure le affilate unghie di Nicole riescono a placare. Su tutto, ovviamente, pesa un’incognita non da poco: Umberto Bossi. Anche lui è arrivato a cottura anzi, è bruciato. Il solo modo che il Senatur ha di restare a galla è quello di andare alle elezioni anticipate e farle con le regole della Porcellum, le uniche che gli consentano di tenere per le palle quei disfattisti anti-padani dei maroniti, da depennare uno ad uno dalle liste elettorali. Un governo che duri ancora un anno e che metta mano alla creatura di Calderoli, lo vedrebbe perdente su tutti i fronti specie se, come si ventila, Bobo Blues Maroni dovesse restare al Viminale. A rimetterci le penne sarà, come sempre, il Pd che a questo punto, a parte la manifestazione di Roma per la quale ha chiamato a raccolta le vecchie falangi del centralismo democratico, potrebbe rientrare in gioco solo se Silvio decidesse di morire di morte naturale (con un voto di sfiducia) e non con le dimissioni prima della votazione in aula sul Rendiconto dello Stato. Piergigi Bersani vorrebbe affondare il colpo già martedì ma Pierfy Casini non sembra affatto d’accordo, lui preferisce attendere una settimana, o due, e lasciare a Silvio la possibilità di dimettersi e di guidare quatto quatto un nuovo governo a trazione Udc-Terzo Polo. Pervicacemente, i massimi esponenti del Partito Democratico continuano a puntare su un’alleanza con Casini quando il Pierfy non ci pensa proprio a mettersi con Vendola e con Di Pietro. E così, come la storia insegna, il Pd si ritroverà ad essere ancora una volta l’opposizione di una opposizione entrata nella maggioranza. Il dato sui Radicali non è pervenuto ma, da quello che sembra e dicono, difficilmente potrebbero votare a favore di Silvio in una eventuale conta all’ultima pigiata di tasto. Forse il Capataz non ha dato i fondi necessari a tenere in vita la loro radio. Un’ultima, penosa annotazione. Nessun esponente del governo è andato a Genova nelle ore tremende di ieri. Nessuno ha occupato la prefettura per dare indicazioni su cosa fare e come gestire l’emergenza. Forse non c’erano No-global da manganellare o forse l’alluvione non è come il terremoto: non fa ridere.
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