"intervista a/ conversazione con Lorenzo Trombetta, corrispondente Ansa a Beirut"
A margine del Festival di Internazionale a Ferrara, abbiamo incontrato Lorenzo Trombetta, giornalista residente a Beirut dove corrisponde per l'Ansa e Limes, rivista italiana di geopolitica. A differenza di tanti "fenomeni da tastiera", Lorenzo parla con cognizione di causa perché si occupa di Siria da ben prima del conflitto civile (che comunque ha potuto osservare da vicino). Inoltre tiene aggiornato un interessante sito su Siria e Libano, che ci permettiamo di segnalare:(www.sirialibano.com)Non abbiamo quindi voluto perdere l'occasione di intervistarlo.
Lorenzo, tu sei stato presso il confine turco-siriano poco tempo fa e attualmente risiedi a Beirut. Potresti quindi descriverci da vicino, e in poche parole, l'attuale situazione, specialmente dal punto di vista umanitario?Dal punto di vista umanitario la situazione è molto drammatica. Almeno 5 milioni di siriani sono stati colpiti dalle violenze, in particolare vicino Damasco e nei sobborghi assediati dal regime; parecchi minori sono morti per denutrizione o per fame, mancano gli alimenti di prima necessità. Non in tutta la Siria è così, ci sono regioni più colpite e altre meno colpite, ma in generale il quadro è molto drammatico. In Libano sono presenti almeno 1,5 milioni di siriani, non solo profughi, ma anche ricchi e benestanti in fuga. Le dimensioni del Paese (il Libano è piccolo quanto l'Abruzzo), messe in proporzione con il numero dei nuovi entrati, possono farci capire l'enorme peso di questa nuova situazione. Pure i libanesi soffrono, anche se non quanto i siriani. Le Ong intervengono spesso per i siriani ma non tutte aiutano pure i libanesi. La situazione è variegata.
- Un anno fa, tu eri tra i pochi che non credevano ad un'imminente caduta di Assad. Quanto credi che possa durare ancora il confronto armato? Un'eventuale, anche se sempre più improbabile, intervento occidentale diretto potrebbe avere l'effetto di abbreviare il conflitto, o produrrebbe conseguenze opposte?
Un intervento militare diretto con l'obiettivo esplicito di far cadere il regime abbrevierebbe veramente il conflitto, ma non c'è la volontà politica per varie ragioni. Si sa benissimo dove colpire il regime siriano, Assad sarebbe eliminato fisicamente e politicamente nel giro di una settimana. Sicuramente ci sarebbero tante ripercussioni successive, ma il conflitto senza dubbio si accorcerebbe. Invece così continuerà una lenta guerra di logoramento. La popolazione, che non è “in mezzo tra due fuochi”, ma è un attore attivo in trincea, piano piano sta subendo un impoverimento della sua forza politica e sociale. C'è chi parla di 200mila morti, ma anche i 110mila morti documentati sono una cifra enorme. Più si va avanti, più cresce l’annientamento dei siriani.- Parliamo del ruolo delle Nazioni Unite. Dopo due anni di stallo in Consiglio di Sicurezza, tu credi nel successo dell'accordo tra Usa e Russia sul disarmo chimico siriano?
- Cosa ne pensi della posizione italiana? Il dichiarato appiattimento alle decisioni dell'Onu rappresenta solo un atteggiamento di rispetto nei confronti della legalità internazionale, o forse vi si può leggere anche un segno di debolezza politica sia interna che esterna?
- Quant'è reale il rischio di disgregazione dello stato siriano in più entità, magari riconducibili a fratture etno-religiose? Uno scenario del genere potrebbe in qualche modo rappresentare una soluzione del conflitto, o al contrario gioverebbe solo a incrementare ulteriormente la destabilizzazione dell'area?
- Secondo te, alla fine del conflitto i ribelli siriani riusciranno a prendere il potere o governerà ancora Assad? O forse è più plausibile (e magari anche auspicabile) che si raggiunga un più rapido compromesso politico caratterizzato dall'ascesa di una figura terza e intermedia tra l'Esercito Siriano Libero e l'attuale regime?
- Un'ultima questione. Vorremmo sapere qual è secondo te il confine tra neutralità e indifferenza, e se noi europei (e noi italiani in particolare) non l'abbiamo già attraversato. Informarsi e informare può bastare a redimersi dal cinismo dilagante? C'è qualcosa di concreto che ognuno di noi può fare nel suo piccolo? Per dare in qualche modo una risposta a chi, come Abu Moqtad, pare aver perso ogni speranza: <<Il mondo non si è mosso per centomila morti, non si è mosso per due milioni di rifugiati, non si è mosso per le stragi di civili sotto i bombardamenti aerei, non si è mosso per le stragi di civili sotto i missili Scud, non si è mosso per le armi chimiche… Cos’altro vuoi raccontare? Siamo soli, il nostro sangue non vale niente agli occhi del mondo>>.
Pietro Figuera





