All’indomani della notizia del presunto rapimento del Giornalista Amedeo Ricucci vogliamo riproporvi l’eccezionale intervista che ci ha rilasciato qualche giorno fa, prima di ripartire per la Siria.
(Nota editoriale di Edoardo Lombardo)
Negli ultimi mesi i mass media europei stanno calando il sipario sulla Primavera Araba. Siamo ormai giunti, per quanto riguarda l’Egitto, la Libia e la Tunisia, nella terza fase del processo di presunta democratizzazione innescato dal gesto dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, che nel dicembre 2010 si dà fuoco per protestare contro le ingerenze della polizia. Non è così dovunque. C’è un paese nel cuore del Medio Oriente in cui le cose sono andate molto diversamente rispetto al Nord Africa, e la pace effettiva o presunta è ancora molto lontana. In Siria la protesta non ha avuto l’esito sperato, il tiranno Bashar al-Assad non solo non è stato detronizzato, ma Damasco versa da ormai due anni in una sanguinosissima guerra civile. Retrò Online ne ha parlato con il giornalista Amedeo Ricucci, ideatore del reportage su La Storia Siamo Noi intitolato “La battaglia di Aleppo”, che in Siria sta per ritornare con un nuovo progetto giornalistico.
Risale a qualche mese fa il suo speciale de La storia Siamo Noi sulla Siria. Ha trascorso diversi giorni ad Aleppo in mezzo alla guerra civile, con le sue morti ingiustificate e le sue violenze. Dato quello che ha avuto modo di vedere, esistono dei buoni, l’Esercito Libero, e dei cattivi, le milizie di Assad?
Bisogna stare attenti a rispondere: parlare di guerra e pretendere che ci siano i buoni e i cattivi è ingenuo o lo fa chi è in malafede. Una cosa è certa, in Siria c’è stata una rivolta di popolo iniziata il 15 marzo 2011 che nel primo anno è stata pacifica e di massa, con manifestazioni in tutti i villaggi e le città. La repressione sistematica e violenta del regime ha poi spinto i siriani a prendere le armi per difendere, e lo dico dopo più viaggi in Siria, le loro famiglie e le loro manifestazioni. Da qui si arriva alla guerra civile: pretendere che la guerra civile sia un pranzo di gala è ovviamente da ingenui, in ogni guerra civile ci sono eccessi, contraddizioni, scadimenti di stile e di valori. Più la guerra dura e più ci si incattivisce, si fomentano odi e rancori, risentimento. Tuttavia bisogna inquadrare tutto questo tenendo presente la situazione di difficoltà che vive la popolazione siriana, ridotta a condizioni estreme. Problemi alimentari, no acqua corrente, continuamente bombardati. E’ possibile che l’Esercito Siriano Libero si renda responsabile di atti di violenza e torture, esecuzioni sommarie: mi sembra però che la proporzione tra i crimini del regime e gli eccessi dei ribelli sia esagerata, non c’è partita tra i due.
La situazione venutasi a creare in Siria è delle più delicate, Damasco si trova ad essere una pedina dello scacchiere internazionale e la popolazione siriana sta pagando questo scotto con il sangue. Il numero di vittime aumenta ma la guerra, da lontano, sembra sempre in fase di stallo. Crede che ci sia ancora qualcosa in grado di sbloccare in positivo la guerra civile o il futuro è troppo incerto e nebuloso, impossibile da prevedere?
Se ci si dovesse basare sul rapporto delle forze in campo ti dovrei dire che la guerra rischia di protrarsi per tantissimo tempo: la forza militare del regime è incontrovertibile, Assad arma bene i suoi uomini e riceve aiuti da Russia e Iran, ha una supremazia aerea che gli consente di avere la vittoria sul campo, tanto che potrebbe tranquillamente riprendersi il controllo della Siria a patto di uccidere centinaia di migliaia di siriani. Se Assad volesse potrebbe porre fine alla guerra distruggendo il suo paese. Quello che Assad non è in grado di fare è controllare il territorio, non ha soldati a sufficienza da schierare in funzione di ordine pubblico, il suo esercito è composto da sunniti, che se vengono messi a pattugliare le strade disertano. I ribelli non hanno la forza per avanzare se non centimetro dopo centimetro a prezzo di sangue e fatica. Si potrebbe andare avanti ancora per anni. La Siria ha avuto la sfortuna di trovarsi al centro del Medio Oriente inserita in un contesto geopolitico gigantesco che ne ha neutralizzato la primavera araba. La Comunità Internazionale potrebbe sbloccare le cose, ma non si ha voglia di ripetere l’esperienza libica, quindi Nato e occidente stanno a guardare o intervengono indirettamente, come l’Arabia Saudita che vende armi ai ribelli.
Ciò che più sconvolge di questa guerra è proprio il massacro dei cittadini. Molti scappano dalle bombe e si assiepano nei campi profughi lungo i confini siriani, il numero di morti al giorno resta comunque inconcepibile. Io ho come la sensazione che da quaggiù non si riesca a quantificare con esattezza la portata di questo sterminio. Non percepisce indifferenza?
Non sono nemmeno così stupito, purtroppo il sistema informativo dei mass media funziona secondo leggi perverse. La tragedia bosniaca a due passi da casa nostra fu coperta dalla stampa a sufficienza nel primo periodo, poi è scattato l’effetto assuefazione: la gente non ha voglia di vedere immagini terribili a cena durante il telegiornale. Damasco sta subendo un effetto del genere: è dal dicembre 2011 che si parla di rivoluzioni arabe, la Siria viene per ultima e l’effetto ripetizione si sente. Una concezione dei mass media come venditori di notizie è simile alla concezione del supermercato: ogni giorno devono esserci merci nuove, i fruitori devono essere attirati. La tragedia siriana miete morti tutti i giorni, in base a cosa si decide quando parlarne? Questo è il mondo dei media.
Parliamo del suo prossimo progetto, un esperimento di giornalismo partecipativo dal nome “Silenzio, si muore”, che la vedrà impegnato in Siria in collegamento costante con un gruppo di studenti. Un progetto d’informazione affascinante per il format inedito ma anche decisamente rischioso.
Parlando del mio ultimo progetto mi ricollego alla domanda precedente: il nostro tentativo è coinvolgere direttamente l’opinione pubblica rappresentata in questo caso dagli studenti di Bologna, sono giovani e spero siano interessati alla tragedia. Io diventerò il loro occhio nel senso letterale del termine, saranno loro a decidere come farmi muovere, il tutto sarà in collegamento reale grazie alla nuove tecnologie. Il rischio non è tanto questo progetto nuovo ma l’andare in Siria di per sé, lo dimostra l’alto contributo di sangue versato dalla professione negli ultimi due anni. Il rischio è in partenza, come quello di raccontare tutte le guerre. Il nostro progetto di giornalismo partecipativo non aumenta i pericoli, è vero che saranno i ragazzi a decidere il mio percorso di viaggio, ma se da loro arriva una richiesta che mette a repentaglio la nostra sicurezza ci rifiuteremo. Il tutto sarà costantemente monitorabile online,. La partecipazione non aumenta il rischio, cambia il modo di orientare il lavoro. Ogni volta che faccio un’inchiesta mi chiedo se sono stato in grado di raccontare nel modo giusto quanto ho visto, a volte ci riesco a volte no. Con questa forma di giornalismo partecipativo i telespettatori potranno dire la loro in diretta e non ex post, sono convinto che il risultato sarà molto soddisfacente per l’opinione pubblica.
Articolo di Matteo Fontanone.
Foto Bo yaser, licenza CC BY-SA