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Sky arte: Il potere del genio

Creato il 18 ottobre 2013 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Sky-Arte-HDToscana 1610, Michelangelo Merisi da Caravaggio è in fuga. Ancora una volta. L’artista ha vissuto nell’illegalità gran parte della sua vita. Conosce il pericolo, ma questa volta è ricercato per omicidio. C’è una taglia sulla sua testa. Lo vogliono vivo o morto. Fa quello che ha sempre fatto e che gli riesce meglio per tirasi fuori dai guai, crea. Ecco cosa dipinge. La testa mozzata, gocciolante, di Golia, il mostro, in mano al Davide, giustiziere.  Il suo autoritratto, l’ultimo. Lo sfondo è completamente nero e ad illuminare e rendere visibile i protagonisti rappresentati è un debole, ma deciso fascio di luce.

Simon Schama, professore di storia dell’arte all’University of Columbia e critico al New York Times

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ci accompagna in un documentario storico in onda su Sky arte alla scoperta di colui che stravolse la concezione di arte prendendo a modello persone reali e portando sulla tela l’umanità in carne e ossa. Il volto di Davide non ha nulla dell’eroe e Golia  emerge nelle fosche tinte terree. A noi piace pensare che il genio sia sempre l’eroe e che i buoni vincano sempre. Qui il genio è cattivo, è Caravaggio.

Può un’opera d’arte redimere un uomo da un peccato commesso in vita? Caravaggio ci ha provato.

Roma 1600 il Vaticano lancia la più grande campagna di propaganda che la cristianità abbia mai visto. La Chiesa cattolica è assediata dalle idee del protestantesimo. Un nuovo messaggio si sta diffondendo,  la verità è nel vangelo e nella parola di Cristo, scritta. E i milioni che non sanno leggere? Hanno diritto a conoscere la via per la salvezza? Nella guerra che si fanno le Chiese per conquistarsi le anime, i dipinti non sono solo oggetti d’arte. Sono l’arma più potente, il cui scopo è quello di diffondere la fede cattolica.   I dipinti nelle chiese sono uno stumento accessibile a tutti, basta guardare per capire. E la Chiesa li ha sempre usati per questo.

Lontano dai palazzi del potere aristocratico, esiste una Roma ben diversa. Una Roma popolare, dei mercenari, mendicanti e delle prostitute. Questa è la Roma di Caravaggio, fatta di sbornie e di osterie malfamate. Vive di espedienti. Sempre pronto a cacciarsi nei guai.

“Nè speranza, nè paura” il suo motto.

Eppure è lontano dal paesino in cui è nato. In lombardia. A cinque anni perde padre e nonno di peste. A diciannove la madre. Per chi ha talento la meta è Roma. Lascia il paese e arriva nel 1593 nella capitale. Dovrebbe disegnare, guardare i grandi maestri del passato, trarre spunto per arrivare a quella perfezione rinascimentale. Copiare, imparare e mettere quel concetto nell’unica guerra che conta, la conquista delle anime.

Ma Caravaggio conosce solo quello che vede. Non disegna. Guarda e dipinge. Cerca i suoi modelli nella strada. Fa entrare il popolo nel suo studio. La cruda rappresentazione, lontana dalla raffinata bellezza dei maestri rinascimentali.

Si allontana dai canoni del tempo. Si allontana dalla servile imitazione dei classici.

Le sue opere non rispondono alle  regole vigenti. Questa qualità non può passare inosservata. Il cardinale Francesco Maria Del Monte, ama circondarsi di dipinti. Un quadro lo colpisce: “I Bari”. La vivacità dei colori, individui veri. L’azione che sembra svolgersi davanti agli occhi. Il cardinale lo compera e fa tasferire l’artista nel suo palazzo.  Caravaggio cambia vita, entra a contatto con la musica, poesia, feste e la sua pittura diventa intensa. Vuole eliminare la barriera che separa l’osservatore. La sua arte esce dalla cornice. Elimina la distanza.

Dipinge graziosi fanciulli e finalmente arriva una grande commissione. Due scene della vita di San Matteo. Una prova. Caravaggio rovescia le norme. Niente santo, ci parla di un peccatore. Trova il sacro nella vita dei miserabili. Il dipinto si ambienta nella fioca luce di un’osteria romana. Loschi figuri assistono. Cristo e san Pietro, un fermo immagine. Per dar forza all’istante della redenzione, un gesto. E l’attenzione cade sul dito puntato. Illuminato. È la luce che trasforma Matteo, il peccatore, in discepolo di Cris

Caravaggio - Vocazione di S. Matteo
to. È un accadimento reale.  Nel martirio, toglie la solennità alla scena. Caos, concitazione, luce radente, mani protese, bocche spalancate, grida. Nel mezzo l’energia si concentra e si ferma, in piena luce sul carnefice, pronto a finire la sua vittima.

Caravaggio, ancora una volta, fa del peccatore lo snodo in cui tutto ruota.

Ha trent’anni. È il suo trionfo. Diviene una celebrità. La chiesa lo vuole. Ma la fama gli da alla testa.

Ed ecco l’altro Caravaggio, violento, aggressivo, imprevedibile ha il sopravvento. Provoca. Va in cerca di guai. Riversa nella sua arte anche la violenza espressiva. Non guardate solo la mia pittura, dovete sentirla, è il suo messaggio.   Artista e devoto cristiano.  Conosce a fondo gli umili, poveri e i fedeli. Caravaggio rappresenta il vangelo attraverso i miserabili. Prende i suoi modelli in strada. La Madonna, perde il suo alone immateriale e diventa una ragazza di strada.  Osa troppo, è indecente.

Cominciano le denunce e il carcere.

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Nulla può fermarlo. Al suo interno coesistono due persone, l’artista di dipinti meravigliosi, dai risultati sorprendenti e l’alienato. Uno, lotta contro la tradizione, l’altro nelle osterie.

Arriva un’altra commissione, la morte di Maria. La madre di Cristo era per la Chiesa un miracolo senza carne. La vergine di Caravaggio non è immateriale, è di carne e ossa. La sua Maria è morta. La modella una prostituta. Giace pesantemente. Un abito rosso vermiglio. Il suo corpo terreo, gonfio, inerte. In sostanza mostra senza alcun “filtro” un cadavere, una salma abbandonata dalla vita.  Attorno tutto è cupo. Gli apostoli soffrono, con il capo chino. Maria Maddalena è affranta dal dolore. Il peso della disperazione è quello che accompagna una morte reale. Il

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dipinto è toccante ma è troppo. Lo scandalo si abbatte su Caravaggio. La delusione è fortissima, lo sconvolge. La sua vita precipita in un votice culminante con il sangue.

Lena è sensuale, gli fa da modella ma è una giovane, promessa sposa.  Lui è geloso. La sua onorabilità è messa in discussione da quello che accade in quello studio. Nella notte qualcuno aggredisce il futuro marito di Lena. Nessuno ha dubbi sull’aggressore. Poi tutto avvine velocemente, altra sfida ma, stavolta ci scappa il morto.

Caravaggio, ora è ricercato. Fugge. Condannato al bando capitale. Si nasconde e dipinge. Le sue opere gli consentono di fuggire a Napoli. È salvo e celebre. I napoletani lo adorano. Ma non si ferma, va a Malta per ottenere il prestigio, il rispetto legato al cavalierato, che gli consente di ripulire la sua reputazione.

1608 la veste di cavaliere con la croce maltesa è messa sulle sue spale. In  cambio dipinge, una scena lacerante. La morte di Giovanni Battista. Una tela enorme dove si celebra la morte. Crollato a terra, colto negli ultimi spasmi di vita, con le mani legate dietro le spalle. Oltre alla morte del santo, Caravaggio celebra la morte dell’illusione che coltiviamo per l’arte che non ci rende migliori. Siamo impotenti, è la cruda realtà che Caravaggio vuole lasciare. Una scena agghiacciante. Un dipinto autobiografico. Soltanto un omicida tormentato dal rimorso poteva volere che il sangue del martire cancellasse il suo crimine. Caravaggio vorrebbe che la violenza avesse fine, eppure non riesce a controllare la propria.

Sarebbe bello che la storia finise qui. L’arte salva il pittore fuorilegge redento. Invece finisce nuovamente in carcere per rissa. Evade e fugge. Torna a Napoli. Viene aggredito e ferito. Arriva la notizia della grazia. Caravaggio ringrazia il cardinal Scipione Borghese, nipote del Papa, nell’unico modo che sa fare. Dipingendo.

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È un autoritratto. Una testa decapitata. L’artista  si raffigura nel cattivo, nel peccatore, colui che ha sbagliato. E’ proprio questo il punto cardine dell’opera, ammette di aver peccato, meritevole di una punizione esemplare, ma al contempo di misericordia e perdono. Utilizza il suo immenso genio, il suo grande talento, per esprimere ciò che riserva nel cuore. Grande pentimento con un’ammissione di colpa a dir poco straordinaria. Golia incarna il male e la battaglia che si svolge tra i due personaggi dipinti come i due aspetti della sua personalità. Davide il coraggioso e Golia il malvagio. Una visione desolante.

1610 salpa da Napoli, torna a casa. Non si sa della grazia. Riconosciuto, viene incarcerato. La sua nave riparte, con tutti i suoi dipinti a bordo. Disperato. Viene rilascito. La barca è lontana. La insegue. Arriva in Toscana, attraversa la palude. E qui lo attende la tragica fine, si accascia sulla riva del mare e muore.


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