Posted 14 aprile 2014 in Russia, Slider, Ucraina with 0 Comments
di Claudia Bettiol
Gli eventi che stanno occupando e preoccupando il mondo intero in questi ultimi tempi a proposito dell’Ucraina, e soprattutto le non facili relazioni che vedono come protagoniste Europa e Russia, ci danno molto da pensare e non solamente da un punto di vista economico e politico, bensì anche filosofico e letterario.
Un salto nel passato
Torniamo indietro di qualche secolo, nell’Impero zarista di fine XVIII e inizio XIX secolo, dove incontriamo due correnti filosofiche che hanno dato vita ad un accanito dibattito che oggi ritorna attuale più che mai: il confronto tra slavofili e occidentalisti.
Lo spirito nazionale russo si affermò pienamente proprio in questo periodo, con gli ideali petrini, e si forgiò poi attraverso le imprese belliche durante il regno della zarina Caterina, con la conquista della Crimea e la creazione della cosiddetta Nuova Russia (i territori russi, appunto, sul mar Nero, parte dei quali oggi fanno parte dell’Ucraina orientale). Il culmine del patriottismo, però, si registrerà con le guerre antinapoleoniche, che segnarono di fatto il definitivo ingresso della Russia nel consenso delle potenze europee.
Ma poco prima di arrivare a tutto ciò, i grandi intellettuali russi dell’epoca, gli esponenti della cosiddetta intelligentsja, si divisero in due correnti di pensiero opposte, lo slavofilismo e l’occidentalismo, in una lotta che però non si svolse mai in campo aperto.
Gli occidentalisti (zapadniki), rappresentati dai teorici Petr Čaadaev e Michail Bakunin, insistevano sulla necessità, per la Russia, di appropriarsi delle conquiste della civiltà occidentale, in particolare della vicina Europa, di fronte alla quale essa sembrava trovarsi in un singolare ritardo di sviluppo. Consideravano le opere di Pietro il Grande di eccezionale importanza in quanto queste potevano aprire una “finestra sull’Europa” all’interno del grande Impero. In nome dei loro ideali precostituiti, negavano ogni significato alla vita vissuta fino alle riforme petrine e comparavano la storia, le tradizioni, le fiabe, i concetti morali del mondo russofono con gli ideali del mondo romano-germanico.
Gli slavofili (slavjanofily o slavjanoljuby), al contrario, esaltavano il patrimonio culturale e spirituale del popolo russo contrastando, attraverso le loro idee politiche e filosofiche, la cultura liberale e industrializzata, e quindi contaminata, che caratterizzava il popolo europeo. Seguaci del circolo slavofilo di Aleksej Chomjakov e Ivan Kireevskij, mettevano in dubbio le riforme iniziate dal loro zar illuminato, Pietro il Grande, e idealizzavano la Russia pre-petrina.
“Gli occidentalisti hanno voluto dare in questa vita universale alcun diritto alla nostra caratteristica popolare, hanno cercato tenacemente di costringerci ad imitare una esistenza estranea, dimenticando che in natura, in genere, non ci sono e non ci possono essere ripetizioni, che nemmeno le foglie di un albero sono identiche fra loro, che non c’è stata etnia, a meno che non fosse del tutto isolata dal resto dell’umanità, che non abbia messo qualcosa di suo nella corrente universale. E in questo caso non si trattava di un qualche gruppo etnico da poco, ma di un intero specifico ramo della razza indo-europea: gli slavi, un ramo tanto importante ed antico quanto i greci o i loro amati germani.” (Apollon Grigor’ev – Narodnost’ i Literatura, 1861)
Una terra di mezzo
Allora come oggi, questa visione bipolare che caratterizza principalmente i popoli slavi situati tra il mondo orientale e quello occidentale, e che è fondata sul rapporto tra Est e Ovest, si è ormai radicata inevitabilmente anche nei discorsi politici degli ultimi tempi: la Russia di Vladimir Putin e le sorti della penisola di Crimea ne sono l’esempio concreto.
I leader europei e le personalità di Vladimir Putin, Julija Tymošenko e Barack Obama, si sostituiscono quasi alla vecchia intelligentsja russa ottocentesca e prendono parte, inconsapevolmente, ad una controversia che ripesca le vecchie idee filosofiche e le adatta alla nostra epoca, utilizzando chiaramente un linguaggio diverso. Il gioco si svolge in campo aperto e ad alti livelli e…cambia nome: non si parla più di slavofili, ma di filorussi, non più di occidentalisti ma di filoeuropei (o, spesso, di filoamericani).
In tutto ciò, l’Ucraina si trova in una posizione geograficamente troppo strategica per non creare motivo di conflitto tra i suoi “vicini di casa”. In quasi tutte le analisi politiche, essa viene percepita come uno “stato cuscinetto” tra la sfera d’influenza europea e quella russa, o, se si vuole essere più “utopistici” come un ponte che unifica la Federazione Russa e l’Unione Europea. Magari il popolo russo potrebbe tornare a esser considerato come parte del Vecchio Continente, come parte di quell’Europa tanto desiderata dallo zar Pietro il Grande, e dimenticare completamente la tradizione euroasiatica che ha influenzato e preoccupato la coscienza dei russi durante i lunghi dibattiti tra slavofili e occidentalisti.
L’Ucraina è quindi combattuta tra due destini e due progetti politici opposti. La volontà di far parte dell’Unione Europea e la paura di perdere i rapporti che la legano storicamente e culturalmente alla Russia, non sono compatibili secondo la politica attuale delle due diverse fazioni, che rifiutano il dialogo, proprio come nel passato.
La parte occidentale del Paese, nazionalista e spesso antirussa, è ideologicamente ed economicamente rivolta verso l’Europa e l’Occidente. Rappresenta, quindi, la vecchia filosofia occidentalista, il sogno di Pietro il Grande. La parte orientale, invece, è filorussa e rappresenta, almeno in parte, quell’ideale slavofilo. Si sente profondamente legata alla Russia, sia culturalmente che economicamente, e possiamo dire anche da un punto di vista linguistico. Nella parte orientale del paese, e soprattutto in Crimea, nonostante la lingua ufficiale sia l’ucraino, l’uso del russo rimane prevalente.
Questa contrapposizione interna crea un conflitto non da poco, a cui si aggiunge il conflitto esterno, più diretto, tra i grandi protagonisti geopolitici internazionali: la Federazione Russa da una parte, l’Europa e gli USA dall’altra e, naturalmente, la leadership ucraina, che dovrà necessariamente scegliere il proprio schieramento.
Il “ritorno al suolo”: una possibile via d’uscita?
Si potrebbe affermare che la prassi politica di Vladimir Putin, chiamato spesso con il nome di “nuovo zar”, aveva finora messo a tacere l’antica contrapposizione, ora rimessa in causa più che mai.
La sua Russia è un paese che produce, consuma, commercializza e pensa all’occidentale, secondo un modello filoeuropeo, anche se coltiva ancora tradizioni molto profonde legate alle radici multietniche presenti nel vasto impero che si estende fino ad Oriente. È, perciò, in un certo senso, divisa tra questi due modi di vivere e alla continua ricerca di una sorta di sintesi fra le due correnti, sintesi a lungo auspicata e riflettuta dallo scrittore ottocentesco Apollon Grigor’ev, molto vicino al gruppo degli slavofili, ma non per questo loro seguace.
Egli non condannava il periodo delle riforme di Pietro, volte ad arricchire la società, la cultura e l’economia russa, e non auspicava nemmeno un ritorno alle tradizioni pre-petrine, troppo radicali e conservatrici. Desiderava semplicemente riappropriarsi delle tradizioni nazionali, ma con l’arricchimento della cultura europea, ed è ciò che espresse nella sua teoria del počvenničestvo, ovvero del “ritorno al suolo” (dal sostantivo počva che in russo significa “suolo”, “terreno”), teoria poi ripresa e approfondita dal grande filosofo Fëdor Dostoevskij.
Il počvenničestvo, in maniera molto semplice, elaborava una conciliazione della verità delle classi colte con la verità del popolo e auspicava la creazione di un’idea russa, sintesi di tutte le idee che l’Europa aveva sviluppato nelle sue singole nazionalità. Quindi si riteneva, in un certo qual modo esagerando, che la cultura russa fosse superiore a quella occidentale, in quanto capace di radunare i due aspetti in uno: la počva è quindi il luogo dove tutto si riunisce.
La diplomazia di oggi dovrebbe forse trarre qualche esempio dalla filosofia dostoevskiana.
L’Europa, che in tutto questo gioca un ruolo chiave, si sta dimostrando incapace di gestire la situazione, eternamente indecisa sulle sue posizioni e palesemente non unita. Essa dovrebbe essere in grado di riprendere quelle idee tanto volute da Grigor’ev e costruire un nuovo ponte tra la Russia e gli USA, che vogliono imporre la loro influenza sempre più Est, e gli stessi Stati europei.
Oggigiorno il confronto ottocentesco tra occidentalisti/filoeuropei e slavofilisti/russofili si è rianimato e ha riaperto una vecchia ferita mai chiusa del tutto: chi sono i russi? Chi sono gli ucraini? Europei o asiatici? O semplicemente euroasiatici che continuano a lottare per capire la loro vera identità?
Per saperne di più sullo slavofilismo: Andrzej Walicki, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, trad. di Michele Colucci, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1973, ed. or. W kręgu konserwatywnej utopii. Struktura I premiany rosyjskiego słowianofilstwa, Warszawa, 1964.
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