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Sliding doors.

Da Nina

E' mattina, questa mattina.Sono in farmacia, l'amica con cui esco a fare passeggiate, ex compagna di panza e ora mamma di un bimbo coetaneo di Simon, deve comprare delle cose. Io e lei siamo arrivate alla gravidanza per strade opposte, io in salita, arrampicandomi a fatica, rischiando sempre lo schianto, lei planando dolcemente in discesa.
Eppure ci siamo trovate, da subito in sintonia.
Siamo simili nel modo di vedere la vita, nella sensibilità e tanto basta.
Lei è il mio lasciapassare per la 'normalità', quella che troppo spesso mi sfugge, ma che anelo continuamente. Vicino a lei io mi sento una mamma come le altre, dimentico quel che mi rende diversa, aliena e trovo conforto in questo senso di appartenenza. Perché a volte ho bisogno di leggerezza anche io, di normalità appunto.
Ecco siamo lì, in fila e si avvicina a noi una vecchietta.
Capelli bianchi, corti, spettinati, come quando ti svegli e esci, senza passare per lo specchio: un piccolo ciuffo impennato dietro la nuca, il bacio del cuscino. Due occhi piccoli, due biglie azzurre coperte da un velo leggero e ai piedi quelle scarpette da nonna, avete presente? quelle che sembrano ciabatte, ma a scarponcino, col pellicciotto dentro. Si avvicina a me, ma parla diretta a Simon, come se lui potesse risponderle davvero e gli chiede se ha freddo. Lui nel marsupio la guarda incuriosito, le braccia penzoloni, gli occhioni grandi e curiosi.
Serio di quella serietà che a volte hanno i bimbi, che ti scrutano e sembrano attraversarti l'anima con lo sguardo.
Lei gli afferra la manina morbida e se la porta alla bocca, per testare la temperatura, con quel fare sapiente che hanno le vecchine. E dice no, no che non hai freddo piccolo tesoro, sei abbracciato alla tua mamma. E io sorrido di dolcezza, distillata nelle sue parole, che mi arrivano prima al cuore e poi agli occhi. Si velano anche i miei. La mia amica va verso il banco della farmacia, è il suo turno, la signora mi resta accanto e io a lei. Non mi schiodo. C'è qualcosa lo sento. Non so cosa ma avverto che se lei è lì e ha scelto me un motivo ci deve essere.
Ed è solo a quel punto che mi guarda. Alza il viso minuto, gli occhi si fanno ancora più piccini, due fessure, stringe la bocca in una morsa dolorosa e si confessa. Mi dice che lei no, di figli non ne ha. Non ne ha neanche uno. E si che li avrebbe voluti. Non tanti, che poi 'tribolano' (così ha detto, a significare che oggi avere tanti figli vuol dire non potergli offrire una vita dignitosa, tutto il pacchetto delle possibilità), ma uno si, l'avrebbe desiderato tanto.
Ma non poteva averne, non lei, ma il marito.
Aveva 26 anni quando gli orecchioni lo hanno reso sterile, ha usato un altro modo per dirlo, più semplice, ma più efficace: 'la malattia gli è scesa fino a giù, fino a lì' e quella è stata la fine di un sogno. Che è brutto non poterne avere di figli, continua a dire, poi alza la testa al cielo e aggiunge: 'Gesù Cristo non ha voluto, ha scelto così'.
Le dico che la comprendo, che conosco il valore di quel corpicino che ora stringo a me e la fortuna che ho avuto io, ma vorrei aggiungere molto altro. Vorrei raccontarle di me, della mia storia, dirle che non è colpa sua, loro, che Gesù non c'entra, non è lui a scegliere, ma la vita, le circostanze, i tempi. Che se fosse stata giovane adesso avrebbe avuto la sua chance, se lo desiderava avrebbero potuto chiedere aiuto alla scienza, ai dottori, così come ho fatto io. E se non fosse andata magari non avrebbe avuto rimpianti e sono certa avrebbe dato un senso nuovo a quella mancanza. Io sono come te, questo vorrei dirle, so come ti senti, so cosa hai pensato nel buio del tuo letto, mentre stringevi il corpo di tuo marito e affogavi nei singhiozzi e nel dolore.
Quel dolore che non si può spiegare, che si può solo vivere. Quel dolore che ti marchia le viscere, per sempre.
E so come ti hanno guardata, giudicata, come ti hanno sminuita, come non sei stata compresa.
So che ancora oggi quando guardi le altre, ormai nonne, tu ti senti una diversa, costretta a portare un peso che non hai scelto. Ma la mia amica è di nuovo accanto a me, con il sacchettino di plastica in mano ed è il turno della vecchina e io non ce la faccio a dirle tutto questo in una frase sola e resto attonita, muta, col cuore straziato e gonfio. Vorrei stringerla a me e portarmela a casa, invece la lascio lì, mentre di nuovo parla con Simon e gli ripete:- Che dio ti benedica.-
Esco fuori, mi riempo i polmoni d'aria, mi accorgo di aver vissuto come in apnea quei minuti che mi sono sembrati eterni. Guardo la mia amica e la voce esce sola:- Quella donna lì ero io. Ero io qualche anno fa. Ero io se fossi nata prima della fecondazione assistita. Lei è quel che avrei potuto essere se non fossi riuscita. Ho visto un'altra versione di me, la Nina che avrei potuto essere -
E ho ripensato a Sliding doors, alle due vite possibili, a quella, tra le due, che accade perché fai delle scelte che ti portano in una direzione e a quella che invece rimane un seme, in potenza, perché al bivio hai preso l'altra strada. Perché hai attraversato quella porta. Perchè quel giorno hai parlato con quella persona. Perché davanti allo specchio ti sei detta si, lo faccio, o non me lo perdonerei mai. Perché la vita ti ha messo nella condizione di poter dire 'o a destra o a sinistra'. Ma lei no, quella possibilità non l'ha avuta. La sentenza è stata senza appello.
Eppure, sono convinta, non è quel che accade che ci rende quel che siamo, ma ciò che decidiamo di farne, il modo in cui scegliamo di affrontare la sfida, qualunque essa sia. Un figlio, un lavoro, un sogno, un progetto di vita.
Per questo penso che non possiamo scegliere quel che la vita ci dà, ma possiamo scegliere come vivercelo. We always have a choice.
La porta a vetri della farmacia si è chiusa alle mie spalle, silenziosa e io ho sentito forte, dentro, che avevo ancora molto da dire, tanto da dare e da fare. E sono tornata qui a casa e ho amato alla follia la mia vita così com'è, con le sue imperfezioni e i suoi vuoti incolmabili, perché mi somiglia, è la mia, è l'immagine di me, è lo specchio delle mie scelte. E ho aspettato che arrivasse la baby sitter, che ho deciso di prendere da una decina di giorni, per avere un paio di ore a settimana libere e provare a riempirle di nuovo di me e vedere che succede. Le ho lasciato Simon, sono usciti a fare una passeggiata e io sono corsa al tavolo della cucina, ho aperto il picci e mi sono messa a scrivere perché ora so, di nuovo so, che siete in tante lì fuori, in carne ed ossa, vi ho cercato, vi ho trovate e ora di nuovo voi cercate me. E io sono come voi, io sono voi e voi siete me.
E oggi voglio dirvi che io so quel che sentite, so cosa pensate nel buio del vostro letto, mentre stringete il corpo di vostro marito e...
*
Non ho mai pensato di chiudere, quel che mi chiedevo era che strada avrebbe preso ora il mio blog, ora che la mia vita ha cambiato traiettoria, non gira più su se stessa, ma è lanciata in avanti, come una freccia tesa su un arco.
Che forma dargli ora che ogni cellula del mio corpo è satura e pregna di questa nuova scoperta, di un nuovo amore?Voi, voi come al solito avete fatto la differenza.
Voi avete risposto al mio appello, numerose, così tante che quasi non ci credo ancora.
Voi, le vostre parole, sono la conferma che quel che ho creato qui, col vostro aiuto, è quanto di più vero e concreto possa esistere, alla faccia della realtà virtuale! Che questo luogo ha un ruolo importante non solo per me, ma per ognuna di voi e che nel mio piccolo sono riuscita a tenderla davvero quella mano, fino a toccarvi tutte, una ad una.
Fino a trovare le vostre di mani.
Fino a formare un cerchio infinito che ci sostiene, ci abbraccia, ci consola, ci rallegra tutte.
Unite come a volte neanche nella quotidianità si riesce ad essere.
Ho fatto tesoro di quel che mi avete scritto e carica del vostro affetto, della fiducia che ancora riponete in me e della voglia che avete di esserci e condividere, piena di tutto questo vado avanti... e vi porto con me.
Grazie di cuore.
A presto, perché, come qualcuna mi ha fatto notare la volta scorsa, sono già tornata :)
SLIDING DOORS.

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