Smettere di scrivere è come prendere un vizio. Dici: posso smettere e ricominciare quando voglio. Poi, passano dei mesi senza riempire una sola riga. Infine, quando ti costringi a rimettere le dita sulla tastiera, è difficile muoverle in sequenza fino a comporre la storia che vorresti raccontare.
Non che ci sia molto da dire. Gabriele non c’è più. No, non nei miei pensieri. In quelli c’è sempre, qualsiasi cosa io stia facendo o con chiunque io sia, in un angolino della mia mente lui mi perseguita. Mi sono sentita come un giocattolo messo da parte, a un certo punto. Cose che capitano. Ci siamo incontrati sporadicamente in questi mesi. Episodi da commedia romantica. O liti furibonde. Finivamo sempre a letto, silenziosi e disperati. Poi, mi sono arresa. Stanca di essere quella che combatte. E che perde. O viene ferita a morte. E in fondo è sempre lo stesso esito.
A parte le pseudo-tragedie sentimentali, i miei giorni sono schiavi di mercati finanziari in tensione e business plan che non reggono. Il mio capo arriva alla fine e sfodera il suo sorriso smagliante, parla ogni volta in prima persona e non manca di prendere a prestito i miei meriti, senza ridarmeli indietro. Le colleghe culone sgranocchiano acide le merendine ipercaloriche del distributore automatico; sghignazzano per la cacciata con disonore dell’odiato principe ereditario Collega Fetish; parlano di diete e intanto lo schermo del mio pc lampeggia, in una mail Collega Gavetta mi scrive: “A voglia de fa’ diete, quelle se magnano pure a me”.
I miei amici sono sempre gli stessi. Più o meno. Qualcuno in meno, qualcuno in più. Nico e Ste parlano spesso di me al telefono; hanno fatto anche una videoconferenza con la Michela su Skype. Una sera, hanno deliberato di mandare avanti Nico. Siamo preoccupati che tu faccia qualche sciocchezza. Siete degli idioti. No, questo non gliel’ho detto; però, l’ho pensato. La festa dei miei trent’anni è stata grandiosa e inutile. Ho sperato fino all’ultimo istante che Gabriele venisse. Ma Gabriele era arrabbiato con me. Due settimane prima era tornato e io non c’ero. E allora, giù di ripicche. Telefonate odiose: io che piangevo e lui che restava in silenzio. Poi, c’è stata la mia festa. Lui è stato l’unico regalo di compleanno che non ho potuto avere.
A volte, penso al futuro. E mi sembra che non ce ne sia davvero uno. Per me, è sempre oggi. L’ieri l’ho perso. Il domani non promette niente di buono.