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Società altroculturale

Da Fishcanfly @marcodecave

Non credo in molte cose, ma credo nel nastro adesivo

- Miles nella serie tv Lost

Mettiamo l’anima in pace. Anzi mettiamola direttamente in guerra: l’altro rimarrà sempre altro. L’altro deve rimanere altro. Le vacche di notte rimarranno sempre distinguibili con un faro accecante. L’altro s’è separato da noi da un bel pezzo. Siamo destinati alla piena solitudine, al fatto di non capirci sempre e comunque.

Siamo destinati a vedere uno straniero sull’orizzonte – chi lo vede con il turbante, chi con i jeans, chi con cinque o sei arti – su un deserto. C’è lì, lo straniero. Sempre pronto ad andarsene.

Siamo liberi di perderci, ecco cosa voglio comunicare. L’altro è gratuito, abbondante. Viene e se ne va e non possiamo farci niente. Dentro di noi ne tratterremo sempre troppo poco e ne tratterremo ancora meno se lo rendiamo simile.

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In fondo, abbiamo anche degli elementi in comune

Il simile è un altro di meno. L’abbiamo fatto fuori.

Ecco perché è così importante non capirsi: badate bene, però. Per capire intendo sforzo etico. Capire è sostanzialmente incazzarsi. Anche perché i buoni vincono quasi sempre solo nei film.

Se c’è altro e resiste, allora vuol dire che stiamo comunicando. Se diamo per scontato che viviamo insieme, allora molto probabilmente comunicheremo ben poco.  Preferiremo l’allusione, il compromesso, il buonismo quotidiano.

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Il buono sapeva anche incazzarsi

Il vivere insieme, alle volte, fa prevalere il sopravvivere.

Abbiamo estremo bisogno dell’altro  per riconoscere la solitudine. Se mandiamo via lo straniero dalla porta, ce lo troveremo rientrare dalla finestra. Ed è inutile chiudere le serrande. Avvertiremo ancor di più il nostro arresto domiciliare.

Ma nessuno ci garantirà che riusciremo a cucire il nostro vuoto. Cuciremo le ferite, forse, sanguineranno le pareti, il sangue placherà la violenza di due corpi che si incontrano. Ciascuno digerirà sana la propria realtà, una realtà in cui grava irrimediabile la nostra vita. Sarà dura come la cicuta.

Socrate bevve la cicuta come estremo riconoscimento dell’altro. Soccombe all’altro perché capisce che non potrà essere simile a lui. Muove verso l’altro. Lo diventa attraverso la morte.

Basta, dunque, con le utopie. Non siamo fratelli. Non siamo nemmeno uguali. La rivoluzione ha fallito: l’essere non sarà mai uno. E se davvero è uno, sarà caduto e frammentato. Il nastro adesivo, per il resto, è solamente una pezza.

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Lo scotch è geniale invece per tagliare i capelli



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