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Qualche tempo fa ho dato un esame. Sociologia dell’arte. E volevo che voi vi sentiste meno intelligenti di me dopo aver letto questo incipit assolutamente inutile. Mi sono detto “Ma quante branchie della sociologia esistono?”. Sociologia dei consumi, sociologia della moda, sociologia dei processi comunicativi, sociologia della patatina fritta, sociologia dell’abbinamento dei colori più truci, sociologia Color Block, quest’ultima giunta a noi grazie a studi approfonditi di Franca Sozzani. Il fucsia abbinato all’arancio fluo? Esperimenti chimici di utilità secolare.
E perché non esiste la sociologia di Facebook? Perché certi studiosi non hanno avuto la brillante idea di indagare la psiche umana riguardo all’atteggiamento che si ha nella scelta della maestosa FOTO PROFILO? Non è un argomento su cui ridere, su cui scherzare con velata ironia. Io sono serio. Quindi provate ad immaginarmi con dei guanti di lattex, un camice e la penna rubata al pediatra infilata nel taschino. Vi guardo e vi spavento con le mie teorie osteopatiche. Mi piaceva la parola osteopatica, quindi evitate di fare la faccia perplessa. Ho face book da tre anni, tre lunghissimi anni. “Tizio ha cambiato la foto del profilo”. Subito ti avvicini allo schermo per capire se vale la pena cliccarci sopra e scopri cose che non avresti voluto nemmeno immaginare. Ci sono molte categorie di foto profili ma ho cercato di sintetizzare il tutto.
Tamarri in fase di rimorchio: con l’avvicinarsi dell’estate si colonizzano nei vostri profili dei veri e propri esemplari di “tamarro Milano Marittima”. Per lui, palestrato che non vedeva l’ora di mostrare il pessimo risultato delle sue ore a sudare come un dromedario, lo standard rientra nei seguenti accessori: olio baby-johnson che gli da quell’aria da merluzzo sottolio, costume bianco che risalta l’abbronzatura da centro estetico di periferia al quale è abbonato e addominale “rilassato”. Lui infatti paonazzo sta cercando di non morire pur di trattenere il fiato. Aneurisma cerebrale? L’importante è la tartaruga. O almeno far finta di averla.
Per lei: costume nero, a fascia, solitamente con lo scatto ripreso dall’alto perché “vengo meglio” e un davanzale florido grazie al push up che occupa tutto lo spazio. Me le immagino durante la fase “ritaglio foto profilo” che scendono con il cursore. Sezione panoramica completa di tette e brillantino sul dente. Sia mai che non si veda tale raffinatezza. Alcune più audaci hanno scatti spontanei mentre escono bagnate dall’acqua, disinvolte mentre l’amico di turno morde loro il fondoschiena e ciliegina sulla torta, l’espressione del viso.Gatta morta, gatta morta in calore, gatta morta in calore prima dell’accoppiamento, gatta morta in calore prima, dopo e durante l’accoppiamento. E giuro che quella della ragazza che si fa mordere dal fidanzato è tratto da una storia vera. Foto profilo di lei con relativi commenti “MMM, ti mangio tutta”. Non aggiungo altro. [Se ve lo state chiedendo, sì, sua madre ha Facebook e vede la figlia spaparanzata mezza nuda davanti agli occhi del mondo e le dice “Sono fiera di te”].
Facce di Pongo: e qui mi diverto. Sono quelle foto profilo in cui non si capisce il dritto o il verso, come nelle magliette di H&M durante i saldi. Le giri, le rigiri e non riesci a decifrare l’ordine di immissione della testa e del braccio. Lo stesso in questa categoria. Facce che hanno la capacità mimica più straordinaria e nello stesso tempo deludente che si possa concepire. Lingue che sporgono chilometri fino a toccare l’ascella, nasi sulla fronte e occhi strabici. Ripresa dal basso, su un autobus, un treno, una crociera in partenza o sulle montagne russe. Nemmeno Crystal Ball ha tutta quella versatilità. Picasso avrebbe avuto da imparare e non sarebbe nessuno in confronto a questi maghi della mimica. Un sorriso spontaneo? Una faccia rilassata? Assolutamente no, è tutta una smorfia. Smorfia da Nerd, smorfia da “Stai parlando con me?”, smorfia da “Cosa hai detto?”, smorfia da “Cioè, tu non sai chi sono io?”. SPARATI, altrimenti a 30 anni ti devi piallare la faccia con il cemento per le rughe.
Facce innamorate: le peggiori. Non c’è niente di peggio che vedere nelle foto profilo gente che si sbauscia ovunque, che limona clamorosamente e che ha gli occhi a cuore. Un po’ di rispetto per chi ha da limonare solo il proprio cane, il proprio stalker di fiducia e se proprio si è fortunati il postino feticista dei piedi. Se poi le suddette foto sono accompagnate da profili di coppia l’oscurità del male non può aspettare a palesarsi. “Chicco Chicca Veroamore” non può essere il nome di un profilo di Facebook. Non si può sentire. Chi siete, Puffo Secchione e Puffetta Cholemechesbionde? Vi amate e ne sono felice, avete un’intensa attività fisica e chimica e mi sta benissimo ma il contorsionismo della vostra intimità palesata a tutto il mondo, no grazie. Grattini, pizzicotti, succhiotti, pratiche sadomaso e feticismi vari a casa vostra. PLEASE.
Poi ci siamo noi. Piccoli esseri con un ego misurato che stappiamo la bottiglia di champagne ogni volta che veniamo decentemente in una foto e non ci attardiamo a farla diventare l’icona di noi stessi, senza obbiettivi finali quali il rimorchio o l’acchiappo virtuale-telematico. Foto simpatiche, non ritoccate, alcune artistiche e alcune insignificanti. Nessun bicipite in azione, nessun pettorale imbottito, nessuna lingua pendula, occhi timidi che guardano al di là dell’obbiettivo e abbigliamento da straccioni.Una foto deve parlare di noi ma non deve dire tutto. In alcuni casi, dice tutto e fa vedere anche tutto. Compreso quel pelo incarnito vicino all’inguine con cui l’estetista ha combattuto per ore.
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