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Soft power: chi decade e chi sale

Creato il 27 novembre 2013 da Danemblog @danemblog
L'immagine evocativa è quella di un catalogo di Cucinelli, o di un renzianissimo Cucinelli stesso, magari un po' troppo radicalizzata nel personaggio, ma rende l'idea della classifica che la rivista - molto hipster - Monocle ha stilato qualche giorno fa.
Soft power: chi decade e chi sale Si parla di "soft power". E cioè quei mezzi  non convenzionali con cui le nazioni, alcune non tutte - "bisogna saperci fare", come dicono quelli -, vendono la propria influenza politica e forza diplomatica in giro per il mondo. Non solo potere militare ed economico, dunque: ci sono anche Paesi che usano arte e cultura, tradizioni, valori, paesaggi e poesia, per rappresentare il proprio brand internazionale.
Secondo l'analisi di Monocle, noi siamo tra questi, e come dargli torto - anche perché qualcosa dovrà pur restarci. La rivista di Tyler Brulé - giornalista imprenditore canadese, columnist del Financial Times, la mano sinistra quasi persa in un attacco al suo fuori strada mentre era inviato in Afghanistan per la BBC - ci ha inserito nella top ten, facendoci guadagnare quattro posizioni rispetto allo scorso anno. L'Italia è «l'unico Paese che può sfidare la Francia quando si tratta del triumvirato di cibo, arte e cultura», dicono di noi.
Il motivo del salto in su nella lista ha un nome e cognome: e non pensiamo al già citato Cucinelli e il suo «nuovo umanesimo nel capitalismo»; e nemmeno ai produttori dei nove vini italiani che l'autorevolissimo Wine Spectator ha inserito in un'altra classifica, quella dei primi cento al mondo; non dobbiamo neanche ricorre a ringraziare chi, dell'altrettanto indiscutibile Times, ha scelto gli Uffizi come primo tra i 20 musei più belli del mondo - conferma, se ce ne fosse bisogno, della passione degli inglesi per il Rinascimento italiano - e poco dietro (12) ha messo anche Galleria Borghese a Roma.
Il nome che stiamo cercando è quello che ha accompagnato la nostra storia contemporanea per questi ultimi venti anni: Silvio Berlusconi. Esattamente.  Lasciando da parte gli enormi dubbi sulla nostra economia, il terribile debito pubblico e la continuazione di questa fragile coalizione di governo, Monocle commenta così il nostro miglioramento: «Libera da Silvio Berlusconi, l’Italia ha lo spirito e la cultura per diventare una soft-superpotenza».
E della stessa opinione è anche l'Independent: «Non [era] sufficiente per un Paese vantare la migliore cucina del mondo, un clima incredibile, una straordinaria bellezza naturale e bassi tassi di criminalità violenta: per andare avanti nei tanto decantati "soft power" globali ha bisogno anche di un leader che non sia uno zimbello internazionale».
Pensare, se avessero fatto la classifica domani, saremmo finiti sul podio. E lasciamo questo, come ricordo di una giornata importante per la storia del nostro Paese. Una giornata in cui il potere politico di un uomo, diventato "soft", permette a una nazione di essere guardata dalle altre con occhi diversi. Una giornata in cui molti apriranno bottiglie, altri avvieranno battaglie: incastrati ancora in quel sentimento che quello stesso uomo è riuscito a lasciare nell'animo di una nazione.
Però, noi sappiamo bene che per salire veramente in alto nelle classifiche mondiali, e non semplicemente in quelle di una rivista di lifestyle - forse definita troppo severamente dallo stesso Independent, «la rivista che leggono quelli che non capiscono l'Economist, ma che non voglio essere visti leggere pubblicazioni di basso profilo» -, più che l'uomo occorre eliminare il sentimento. Il "berlusconismo" è una malattia che affligge la nostra Italia: ma ci ha colpito perché le nostre difese immunitarie erano basse. Non illudiamoci che la colpa - e Dio sa quanta gliene attribuisco - è solo in lui, Berlusconi, l'uomo, la persona.


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