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Sole a catinelle: l’ottimismo a colazione di Checco Zalone

Creato il 10 gennaio 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

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Una gestazione lunga due anni, ma valeva la pena aspettare. Perché Sole a catinelle è il migliore dei film della “premiata ditta” Checco Zalone-Gennaro Nunziante.

Dopo Cado dalle nubi (2009) e Che bella giornata (2011), con Sole a catinelle si chiude la trilogia delle “commedie metereologiche” del celebre comico pugliese, che si aggiudica definitivamente l’etichetta di re Mida del cinema italiano (da blockbuster). Zalone rende possibile l’impossibile, ovvero superare la cifra record di 43 milioni di euro d’incasso stabilito con Che bella giornata. L’ultima fatica è, parafrando il titolo, soldi a catinelle: oltre 51 milioni al botteghino!

Incasso smisurato ed eccessivo, in fin dei conti plausibile, certamente meritato. Perchè Sole a catinelle è davvero il migliore dei tre film del Checco nazionale. Il motivo è semplice: è il più popolare dei tre, nel senso di più vicino al popolo, alla gente, a noi cittadini e spettatori. E questo perché sceglie il tema più scottante e vicino agli italiani: la crisi economica. La quale, affiancata ad un rapporto padre-figlio che comincia in salita e finisce in venerazione, è un cocktail saporito e vincente. Se Cado dalle nubi era la solita storiellina d’amore col meridionale che si trasferisce in un nord leghista per approdare ad uno scalcagnato X-factor, e se Che bella giornata affondava le grinfie nella paura del terrorismo e nella necessità di sicurezza tra discoteche e vescovadi, Sole a catinelle pesca in quello straordinario diventato ormai tragico ordinario, in quella piaga dalla quale l’Italia della tv dice che usciremo presto, mentre quella reale ne paga ancora cara la pelle. E lo fa con il solito tono cinico e dissacrante, ma a ben vedere oculato, disciplinato, perché mai offensivo verso chi non riesce ad arrivare a fine mese. Checco è un papà moderno, figlio, e in qualche modo erede/imitatore, del ventennio berlusconiano, che promette tanto ma mantiene poco, che vorrebbe brillare agli occhi del figlioletto ma finisce sempre col muovere la pedina sbagliata. Ma ha uno sconfinato ottimismo, di chi “si è fatto da solo” e sa cavarsela comunque vada. Certamente non un italiano da prendere d’esempio, ma un “tipo” di italiano su cui riflettere.

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Tempi comici perfetti, risata matematica, tutto (o quasi) calcolato al millimetro. Pregevole la canzoncina Super papà, che con palesi influssi alla Ufo robot riporta in auge la figura paterna quale fosse un supereroe che, tra mille disavventure, fa il possibile per lasciare al figlio un futuro migliore.

Un film che ha pure il pregio di ricordarci una regione italiana dimenticata: il Molise. Un’operazione che, tra assolati scorci campestri e isolati palazzi d’antica bellezza, ricorda quella compiuta da Rocco Papaleo con Basilicata coast to coast (che palesava le proprie intenzioni sin dall’inizio).

Comunque sia, pur tra tanti pregi, ci sono dei difetti. In primis l’altro lato della medaglia della componente musicale: le solite canzonette che hanno reso famoso Zalone dal palco televisivo di Zelig. Super papà è l’unica eccezione. Le restanti risultano poco funzionali alla storia, conficcate a forza nella sceneggiatura, come videoclip che non si possono non inserire perché il pubblico li aspetta a gloria. Ma questa volta non funzionano. Altra pecca, ma questo già lo sapevamo sin dai film precedenti, è la regia di Nunziante che definire imbarazzante è poco. Più fluida che in passato, è però più che televisiva, roba da Un posto al sole (per rimanere in tema col titolo…). E i mezzi per fare un lavoro migliore ci sono, si vedono: dolly e gru ad esempio. Ma Nunziante non sa che farsene e li usa solo perché Valsecchi li ha pagati.

Promossa quindi questa terza fatica, cosa aspettarsi in futuro da Zalone? Il salto di qualità, smarcandosi dalla maschera che in questi anni si è creato, frutto indiscutibile del suo successo. Una commedia nuova per e sull’Italia, con meno smorfie e mossettine, che porti ancor più a galla l’uomo nascosto dietro la macchietta. Pura utopia? Può darsi, ma forse va bene così…


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