Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sono passati i tempi nei quali l’Italia veniva definita una “nazione mite”. Sono passati anche quelli del buonismo, liquidato senza rimpianti in una tragica sera con la morte di una cittadina italiana ammazzata brutalmente da un rom, che produsse come reazione la ritorsione collettiva e istituzionale contro un intero gruppo etnico, facendo pagare la colpa individuale dell’autore del crimine da migliaia di donne, uomini, bambini, facendo entrare in azione le necessarie e benefiche ruspe per spianare gli insediamenti abusivi, dando corso alle identificazioni e alle prime espulsioni, annunziate orgogliosamente da prefetti e giornali, in una bolla di odio, di ostilità e di paura voluta personalmente dal sindaco di Roma e leader del Pd, quello della “bella politica”.
Adesso nessuno pensa più di indossare guanti di velluto. Da cattivisti si sono convertiti in cattivi dentro, contro lavoratori disubbidienti, contro senza tetto fuori legge, contro pensionati inutile peso, contro malati molesti e dispendiosi, tutti collocati ai margini di una società che si vuole su misura di un ceto dirigente sempre più esclusivo, chiuso, inattaccabile e implacabile nello svolgere i suoi servizi ai comandi di padroni interni ed esterni. L’offensiva da parte dei bambinacci mal cresciuti del governo, di quelli che una volta attaccavano i barattoli alla coda dei gatti e poi li torturavano, viene condotta senza veli, perfino senza ipocrisia, che pure solitamente è una evidente qualità della bella come della brutta politica. Che tanto mica hanno bisogno del consenso tramite libere elezioni, trattandosi per lo più di nominati che si preparano a rendere la loro posizione inamovibile per legge, inviolabile per incoronazione, tramite una delle loro “riforme” plebiscitarie a suggellare l’egemonia ormai definitiva del partito e del pensiero unico.
L’opposizione, o comunque si voglia chiamare, ancora si compiace e cerca l’approvazione popolare pescando nel torbido dei di sentimenti un tempo innominabili e inconfessabili, portati alla luce da indegne profondità, nutriti dal risentimento, dalla diffidenza, dalla paura, dall’invidia, figli della crisi, di perdite di beni, di certezze e di identità.
Sgonfiare quella bolla tossica di rancore e emotività dovrebbe essere compito di tutti, ma soprattutto del “ceto dirigente” tutto, dell’informazione, degli intellettuali, ammesso che esistano ancora queste categorie. Invece sono proprio loro che, anziché neutralizzare il veleno, reclutano l’odio, lo quotano al mercato dei voti, lo portano nelle sedi istituzionali, in una rincorsa sciagurata, per essere più vicini alla pancia, sdoganando l’ostilità preconcetta, il pregiudizio infame grazie a provvedimenti, circolari, editti sindacali.
Salvini è una testa di ponte, ma la solidarietà espressa ieri per le ferite inferte alla sua auto impegnata senza tutte le necessarie autorizzazioni e provocatoriamente nelle azioni di allestimento di prossimi pogrom, nella propaganda in preparazione di future punizioni punitive di probi cittadini e laboriosi benpensanti è inquietante, per via di quel gioco di lenti che oscura la vera infamia, la mette in ombra rispetto alla reazione che suscita. Così l’intemperanza oggetto di riprovazione sono le sassate tirate da “antagonisti” che sembravano dei figuranti per uno sceneggiato sugli indiani metropolitani, più che pericolosi attentatori alla libertà di espressione e che riscuotono tutta la mia solidale simpatia. E non invece il dichiarato razzismo, la conclamata xenofobia usata come una clava per istupidire, per indirizzare malessere verso “altri”, più in basso, più vulnerabili, più esposti, bersaglio più gradito alla nomenclatura di Belsito, dei corrotti, degli incompetenti, dei ladri, dei profittatori, degli evasori, dei criminali, perfino da parte dei movimentisti 5stelle, poco inclini al rifiuto del fascismo e dei suoi capisaldi.
Dopo aver portato il non confessato razzismo dentro al Parlamento, dopo averlo suscitato come epifenomeno di sentimenti di ostilità profonde e radicate, che in particolari condizioni emergono con rinnovata violenza, la Lega aspira a riportarlo alla condizione di sistema di governo, come successe quando ne faceva parte, con i respingimenti, le leggi razziali, locale e nazionale.
E tornando sul “problema” rom, che così è sempre stato definito, ci riuscirà più facilmente: mentre dichiarazioni ostili nei confronti di altre minoranze possono causare reazioni pubbliche o private, seppur sempre più flebili, il livore anti zigano anche marcato comporta poche conseguenze anche in ambienti solitamente abituati a atteggiamenti e linguaggi più misurati.
È del 2011, ma c’è da immaginare che oggi i dati sarebbero ancora più eloquenti, una indagine del Senato, commissionata al fine di predisporre un Piano Nazionale per l’integrazione dei Rom, secondo la quale oltre il 90% degli italiani ritiene che le popolazioni dei Rom e dei Sinti in Italia sfruttino i minori, e una percentuale analoga crede che vivano di espedienti e piccoli furti; l’87% ritiene che siano chiusi verso chi non è zingaro e l’83% che abitino per loro scelta in campi isolati dal resto della città. Circa il 35% degli italiani crede infine che il numero dei Rom e dei Sinti presenti in Italia sia tra cinque e dieci volte superiore alla realtà: il 35% degli italiani intervistati sovrastima la loro presenza in Italia, collocandola tra uno e due milioni di persone; l’84% è inoltre convinto che gli “zingari” siano prevalentemente nomadi, mentre la stragrande maggioranza è sedentaria, il nomadismo riguarda una percentuale che secondo alcune stime non supera il 3 % della popolazione e comunque si tratta di un comportamento frutto di espulsioni, emarginazione, persecuzione, che di una tratto culturale.
L’arrivo negli anni 90 dei profughi rom dell’ex Jugoslavia modifica il quadro. Ma in peggio: l’assenza di politiche di riconoscimento, accoglienza per soggetti che chiaramente hanno diritto allo status di rifugiati, spinge i nuovi arrivati nei campi già esistenti. E le istituzioni, la politica nazionale e locale rispondono con misure poliziesche di controllo, sorveglianza, sicurezza, repressione invece di promuovere interventi sociali di asilo e integrazione, confinando tutti senza distinzioni in lager ai margini delle città, realtà che, con pochissime eccezioni, non esistono in altri paesi europei e che sono caratterizzate, per usare il linguaggio delle convenzioni internazionali, da condizioni inumane e degradanti, realtà incompatibili con qualsiasi progetto di inclusione e integrazione: nei campi abusivi, a dispetto delle truci invettive leghiste, manca l’acqua, la luce, i servizi igienici, e spesso le baracche sono costruite a ridosso di discariche, infestate di topi. Anche i campi regolari, in cui dovrebbero essere garantiti i servizi minimi, sono costruiti nelle periferie delle città o in terre di nessuno da tenere il più lontano possibile da case, scuole, abitudini quotidiane.
La nuova segregazione razziale, che passa per provvedimenti di sindaci sceriffi bi partisan, muri, panchine riservate e bus “dedicati” o abilitati a saltare fermate sgradite, non ha le forme del nazismo, anche se il Salvini o certi sindaci Pd sono convinti che rom e sinti siano Untermenschen, sottouomini, non si esercita per motivi genetici, ma perché questi “altri” disturbano gli elettori, l’opinione pubblica, gli imprenditori brianzoli, ma anche i diseredati di Ponticelli, quelli che nel maggio 2008 rivendicarono nelle televisioni il pogrom “contro le caserelle che gli zingari si erano costruiti”, abusivi contro abusivi, sfollati contro sfollati, emarginati contro emarginati. Ma tracciando ancora una volta un non nuovo confine: quello separa gli uomini da trattare come persone e quelle da trattare come cose.
Bisogna stare attenti al contagio, rischiamo tutti di essere trattati come cose, come merci con una data di scadenza. Senza democrazia e senza sovranità, siamo già apolidi, abbiamo ricominciato a essere migranti, minacciano di farci diventare rifiuti.